Sono intrise di veleni e di misteri le terre della seconda discarica del Lazio, a Borgo Montello, in provincia di Latina. Due colline artificiali, cresciute – dagli anni ’90 ad oggi – grazie ad una infinita serie di deroghe, autorizzazioni in emergenza, amicizie e compiacenze. Milioni di tonnellate rifiuti, gestiti da tre giganti del settore. C’è il gruppo Grossi, al centro di una bufera giudiziaria negli anni scorsi per la bonifica di Santa Giulia; c’è la Unendo dei Colucci, fratelli arrivati, alla fine degli anni ’90, nella pianura pontina da San Giorgio a Cremano, per poi costruire un impero delle discariche, finanziando con generosità il centrodestra per diversi anni. E c’è l’avvocato di Pisoniano, Manlio Cerroni, re di Malagrotta, che a Latina ha mandato il suo factotum Bruno Landi, con un passato di presidente della Regione Lazio, oggi strettamente legato a Fabrizio Cicchitto e ritenuto il vero trait-d’union tra l’avvocato dei rifiuti e la politica, in maniera assolutamente bipartisan.

A Borgo Montello c’è poi un mistero, che nessuno riesce ancora a sciogliere: chi c’è dietro la proprietà di buona parte dei 48 ettari destinati oggi a discarica? Non è un dato banale: qualcuno dovrà garantire la bonifica di quelle terre e la gestione per trent’anni delle colline artificiali di rifiuti dopo la chiusura. Pena un disastro ambientale che si aggiungerebbe ad una situazione già ampiamente compromessa. 

Il filo di Arianna della complicata mappa della proprietà delle terra parte dal 1996, quando un gruppo di società legate ad un imprenditore finito poi nei guai per una brutta storia di riciclaggio e appropriazione indebita, Giovanni De Pierro, compra in blocco la discarica di Borgo Montello dal fallimento del precedente gestore, la Ecomont. Dopo pochi mesi metà del patrimonio passa al gruppo Grossi, per 500 milioni di lire. Non avviene lo stesso per gli antichi invasi risalenti agli anni ’80, che all’epoca letteralmente galleggiavano sul percolato: quella quota di 30 ettari ancora oggi risulta all’agenzia delle entrate intestata alla Capitolina srl (società riconducibile al gruppo De Pierro), mentre la Ecoambiente – società che gestisce la discarica dove finiscono i rifiuti di Latina, partecipata da Manlio Cerroni – si è dovuta accontentare di un contratto di affitto, con scadenza prevista nel 2016. Un dettaglio chiave, da annotare con cura.

Chi è Giovanni De Pierro, l’imprenditore che si nasconde dietro l’operazione di acquisto delle terre della seconda discarica del Lazio? Originario di Napoli, al centro di una galassia di oltre 100 società specializzate nelle pulizie e manutenzioni industriali, De Pierro fin dal 1995 ha iniziato ad avere guai importanti con la giustizia. La prima inchiesta lo ha colpito qualche anno prima del suo arrivo a Latina, vedendolo rinviato a giudizio accusato di truffa a Biella. Poi nel 2003 fu il pm di Potenza Woodcock a chiederne l’arresto, per l’indagine conosciuta come Vip. Il Gip non accolse la richiesta, trasferendo il fascicolo a Roma per competenza. Nell’agosto del 2008 – mentre fuggiva verso la Francia – il nucleo della polizia tributaria della Guardia di finanza della capitale lo ha, infine, arrestato con l’accusa di appropriazione indebita: per la procura romana era un esperto nello svuotamento di società. 

Ai figli Ivan e Mirko furono sequestrati diversi milioni di euro dal tribunale di Roma, depositati in conti della banca Desio Lazio. Provvedimento, questo, confermato dalla sentenza della cassazione del 7 luglio 2011, che rilevò lo “svuotamento programmato di alcune società del gruppo De Pierro, che in questo modo si sarebbe appropriato indebitamente di cospicue somme di denaro, mediante riciclaggio e intestazioni fittizie”. E su quella che all’epoca dell’arresto venne definita “una holding del malaffare” – che include anche alcuni amministratori delle società intestatarie di buona parte dei terreni dell’invaso di Latina – oggi le indagini della finanza sono ancora in corso. E non sarà facile ricostruire nel dettaglio la complessa rete di partecipazioni incrociate, fiduciarie e scatole cinesi.

La scadenza del contratto di affitto firmato dalla Ecoambiente è ormai prossima, nell’agosto del 2016. Dopo quella data nessuno sa cosa potrà accadere: “E’ assurdo che la Regione non abbia mai verificato l’effettiva proprietà della discarica quando l’ha autorizzata”, commenta l’assessore di Latina Fabrizio Cirilli, guardando le carte. In realtà la regione Lazio ha fatto qualcosa di più: nell’autorizzazione integrata ambientale del 2007 – documento che permette il funzionamento degli invasi – “dimentica” le società di De Pierro, scrivendo che la discarica funzionerà sul “terreno di proprietà della Ecoambiente”. Una svista clamorosa? Chissà. Di certo il solo contratto di affitto valido fino all’agosto del 2016 non poteva garantire la sicurezza della gestione trentennale della discarica, con tutti i problemi ambientali connessi. E oggi è difficile capire cosa accadrà nel 2016, quando la discarica verrà chiusa e qualcuno dovrà garantire la bonifica e la gestione del pericoloso percolato per diversi anni. Un servizio che i cittadini di Latina hanno già pagato nella tariffa concessa alla Ecoambiente, per una cifra che supera i 12 milioni di euro, accantonata in bilancio.

Intanto tra falde acquifere ormai contaminate – dato attestato più volte dalla stessa Arpa Lazio – e miasmi sempre più insopportabili l’antica terra di bonifica di Borgo Montello si sta trasformando lentamente nella futura Malagrotta della regione Lazio, preparandosi ad accogliere nuovi impianti e centinaia di migliaia di tonnellate di “monnezza”. Una “terra senza onore”, come hanno scritto su un lenzuolo bianco le famiglie dei contadini di Borgo Montello. Le vere vittime di questa strana storia, tra indifferenza e complicità.

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