Il Giornale edito dalla famiglia del Cavaliere, qualche settimana fa è stato tra i primi a denunziare la circostanza che nel corso di un’intervista andata in onda durante la trasmissione Annozero, ai telespettatori è stato lasciato intravedere il numero di uno dei cellulari (c’è da augurarsi non quello di Stato, dato che a mostrarlo era una escort!) del premier Silvio Berlusconi. Sempre Il Giornale, ormai da mesi, sponsorizza la riforma della disciplina delle intercettazioni tanto cara al premier, volta a limitare il ricorso a tale prezioso strumento di indagine e, soprattutto, la pubblicazione dei risultati acquisiti dagli investigatori anche quando, come nel caso del Rubygate, sia difficile dubitare del rilievo pubblico delle notizie cui si riferiscono.

Ieri, però, Il Giornale diretto da Alessandro Sallusti ha pubblicato, senza pensarci due volte, stralci di mail – peraltro estrapolati da una discussione ben più complessa ed articolata di quanto non sia stata raccontata – scambiate tra magistrati nell’ambito di una mailing list ad accesso limitato e riservato. Il Giornale di Sallusti, peraltro – in modo quasi del tutto incomprensibile e, certamente, ingiustificato – ha ritenuto di sbattere sulle proprie pagine addirittura gli indirizzi mail privati dei magistrati partecipanti alla discussione, rendendoli così, evidentemente, contattabili da milioni di persone e potenziali destinatari di ogni genere di comunicazione minatoria da parte delle centinaia di migliaia di persone con le quali, quotidianamente, si scontrano e confrontano nell’esercizio del loro dovere.

L’Associazione Nazionale Magistrati ha già chiesto, in relazione all’episodio, l’intervento del Garante per la Privacy, la cui decisione è ora da attendere. Frattanto, però, val la pena di ricordare che, in linea di principio, la pubblicazione del contenuto di mail scambiate all’interno di una mailing list e, soprattutto, dei nomi e indirizzi degli iscritti alla mailing list stessa costituisce un’aperta violazione della disciplina sulla privacy nonché il reato di cui all’art. 618 del codice penale a norma del quale “chiunque… essendo venuto abusivamente a cognizione del contenuto di una corrispondenza a lui non diretta, che doveva rimanere segreta, senza giusta causa lo rivela, in tutto o in parte, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516”.

Si tratta di principio ormai reiteratamente sancito dalla giurisprudenza che, senza alcuna esitazione, ha, da anni, chiarito che “i messaggi di posta elettronica scambiati nell’ambito di una ‘mailing list’ vanno assimilati alla corrispondenza epistolare privata e la relativa pubblicazione su di un giornale costituisce violazione del segreto epistolare. La diffusione di notizie personali (come nome e cognome, posizione ricoperta e sede di lavoro) da parte di un giornale si pone in contrasto con il requisito dell’essenzialità dell’informazione e costituisce, quindi, un illecito trattamento dei dati.

Molti di quelli pubblicati da Il Giornale, peraltro, sono dati sensibili in quanto idonei a rivelare l’orientamento politico di alcuni magistrati e, dunque, dati in relazione ai quali la vigente disciplina impone – anche nei confronti dei giornalisti – la massima attenzione e il più alto possibile rigore nella valutazione dell’effettiva rilevanza pubblica della notizia che si intende dare e dell’essenzialità della pubblicazione dei relativi dati ai fini della diffusione di tale notizia.

Sul punto il codice deontologico relativo alla privacy nell’attività giornalistica è straordinariamente chiaro: “Nel raccogliere dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché dati atti a rivelare le condizioni di salute e la sfera sessuale, il giornalista garantisce il diritto all’informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell’essenzialità dell’informazione”. Si tratta di principi violati e traditi dall’improvvida ed indifendibile iniziativa de Il Giornale.

I magistrati sono cittadini liberi di avere proprie idee e convinzioni politiche e non esiste alcuna notizia di rilevanza pubblica nel raccontare – con tanta inutile dovizia di particolari e dati personali, come l’indirizzo e-mail privato – che un giudice delle esecuzioni mobiliari di Santa Maria Capua Vetere definisce il premier “Zietto”, o nel fatto che altri suoi colleghi, non coinvolti direttamente in procedimenti nei confronti del premier, si confrontino – in una mailing list piuttosto che a cena o in una riunione in tribunale – sulla necessità di difendere la nostra Costituzione da quelli che, poco conta se a torto o a ragione, ritengono attacchi gravi da parte dei rappresentanti di altri poteri dello Stato. Il Giornale non ha sbattuto in prima pagina la “posizione” della magistratura, ma le convinzioni politiche di singoli uomini e cittadini che sono anche magistrati.

Tocca al Garante stabilire se Il Giornale ha violato o meno il diritto alla privacy non della magistratura nel suo complesso, ma dei singoli magistrati i cui dati personali e le cui legittime convinzioni politiche sono state date in pasto all’opinione pubblica. L’impressione, tuttavia, è che Il Giornale abbia sbagliato e dimostrato che la privacy degli altri – e specie di quanti sono bollati come avversari del proprio editore – non conta nulla.

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