Durante la campagna Il Mare a Scuola organizzata dalla Fondazione Marevivo in collaborazione con MSC Foundation e Fondazione Dohrn, in diverse occasioni le autorità intervenute a bordo della Nave Patrizia, a Napoli, Palermo, Livorno e Genova, hanno riconosciuto l’importanza della transizione ecologica. Di conseguenza, hanno riconosciuto la necessità di mettere più ecologia nei percorsi didattici. Qualcuno, però, ha posto la condizione che sia mantenuta la sostenibilità economica e sociale: va bene l’ambiente, ma non possiamo non pensare a società ed economia.
Qualcuno ha ancora parlato di posizioni “ideologiche”. Così mi è toccato spiegare che società ed economia non possono prosperare in un ambiente degradato da modelli di “sviluppo” economico e sociale che causano un degrado ambientale che genera enormi costi economici e sociali. A fronte dei disastri in Spagna e in Romagna, e non solo, noi, le cassandre dell’ecologia, abbiamo ora la magra soddisfazione di dire: ve l’avevamo detto.
Le reazioni agli allarmi hanno attraversato diverse fasi. Prima il negazionismo: siete catastrofisti, non è vero, va tutto bene. Poi la reazione “storica”: queste cose sono già avvenute in passato, quando non c’eravamo, e quindi non siamo noi i responsabili. Poi la fede “teconologica”: va bene, ci sono problemi, ma li risolveremo con le tecnologie, tipo la fusione nucleare. Seguita da: inutile che lo facciamo noi se non lo fanno gli altri. Infine: oramai non c’è più niente da fare, tanto vale continuare così. Il ministro della Protezione Civile dice: non ci sono più soldi per far fronte ai disastri causati dal cambiamento globale: assicuratevi! A riprova che i costi economici e sociali causati dal cambiamento climatico non sono più sostenibili con i fondi pubblici (mentre programmiamo faraoniche spese militari).
Ogni reazione è generata dalla presa d’atto che la reazione precedente era sbagliata, e ogni nuova posizione è più sbagliata della precedente.
Tutto questo è generato da ignoranza o malafede, o da entrambe. Perché Il Mare a Scuola? L’Oceano globale è più del 90% dello spazio abitato dalla vita e gli sconvolgimenti, sempre più estremi e frequenti, derivano da alterazioni delle condizioni oceaniche. Se fa troppo caldo evapora troppa acqua oceanica che poi torna giù, generando quel che è avvenuto in Spagna, e in Emilia Romagna. Ovviamente dobbiamo adottare pratiche di uso del territorio che tengano conto della possibilità di sempre più frequenti eventi estremi.
Ma dobbiamo capire bene il significato di quel che facciamo rispetto alla biodiversità e al funzionamento degli ecosistemi naturali che, è vero, abbiamo inserito in Costituzione, all’articolo 9, ma che ancora non fanno parte della nostra cultura.
La scuola è un insostituibile generatore di cultura e conoscenza ma, fino ad ora, ha trattato poco o niente la natura. Benissimo la letteratura, la matematica e i teoremi, ma bisogna anche conoscere la biodiversità e gli ecosistemi, visto che è grazie alla loro integrità che le nostre condizioni di vita sono garantite. Il concetto di Salute Unica ci insegna che la salute della società e dell’economia dipendono dalla salute dell’ambiente e, soprattutto, degli oceani. La transizione ecologica richiede una transizione culturale che dia centralità alla cura del pianeta attraverso un percorso di conoscenza, perché non ci possiamo curare di quel che ignoriamo, e non ci possiamo più permettere di essere ignoranti.
Proprio per questo, credo, la Scuola del Fatto mi chiese di tenere tre lezioni su ecosistemi, biodiversità, rapporti natura-uomo. Ogni lezione fu seguita da una discussione e uno studente mi chiese opinioni su aspetti politici. Intervenne il Direttore della Scuola, il compianto prof. Domenico De Masi, e ci bacchettò, dicendoci di non fare discorsi da bar, che i corsisti avrebbero dovuto far domande su, che so, le barriere coralline, e altre cose del genere. Ma se si parla di politica bisogna chiedere a chi si intende di politica, mica agli ecologi.
Pur provando enorme ammirazione per Mimmo De Masi, visto che da lui ho imparato un sacco di cose, sono salito anche io in cattedra e ho rintuzzato il suo rimbrotto: stiamo perseguendo la transizione ecologica perché la politica (e l’economia) non ha tenuto conto dell’ecologia, e questo ha portato a disastri ecologici, economici e sociali. L’economia e la società sono contenute nell’ambiente e, durante le mie lezioni, ho cercato di spiegare come sono fatti e come funzionano i sistemi ecologici che permettono la nostra vita. Questa è politica e gli esperti di politica non se ne rendono conto: è la loro ignoranza che ci ha messo nei guai; se sviluppiamo una politica e un’economia da ignoranti di ecologia, facciamo cattiva politica e cattiva economia.
De Masi convenne che queste conoscenze siano essenziali per fare buona politica e buona economia e disse una cosa che mi sorprese: ma guarda un po’ se dovevo arrivare a ottant’anni per capire queste cose. Devo ribadire la mia ammirazione per De Masi perché raramente ho trovato persone così aperte nel riconoscere di aver sbagliato. Temo, però, che non siano in molti a dimostrare altrettanta elasticità mentale.
Chiedere che la scuola si occupi di ambiente e di mare è l’unica strada praticabile verso la transizione ecologica. Gli adulti sono irrecuperabili (purtroppo di De Masi ce ne sono pochi), ma il futuro è dei giovani ed è su di loro che bisogna puntare.