Fiumi di petrolio e miliardi di metri cubi di gas. Difficile osservare cosa accade alla 29esima conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è appena aperta in Azerbaigian, senza pensare ai combustibili fossili. E, nell’attesa che a Baku arrivi anche la premier Giorgia Meloni, mercoledì 13 novembre, anche a quelli che l’Italia importa dal Paese ospitante. Con una media di circa il 15% dell’import totale, l’Azerbaijan è tra i primi fornitori di petrolio della Penisola, a cui esporta circa il 20% della sua produzione di gas. Tutto parla di petrolio a certe latitudini, anche l’avvio stesso della Cop 29, con il passaggio di consegne tra il presidente della Cop28 di Dubai, Sultan Al Jaber e quello della Cop29, Mukhtar Babayev. Emirati Arabi e Azerbaigian fanno parte della cosiddetta Troika della Cop 29, insieme al Brasile che, invece, avrà la presidenza della Conferenza sul clima del prossimo anno. Per molti analisti, la Troika non ha fatto tutto ciò che doveva, a iniziare dai suoi stessi Ndc (Nationally Determined Contribution), gli impegni di riduzione delle emissioni nazionali. E, dall’altra parte del mondo, per gli Usa non rassicurano le parole di John Podesta, l’inviato per il clima di Joe Biden: “Quando Trump dice che smantellerà la lotta al riscaldamento globale dovremmo credergli. È chiaro che la prossima amministrazione cercherà di invertire i progressi”.
Dopo quelli degli Emirati Arabi, deludono gli impegni del Brasile – Durante il passaggio di consegna, Al Jaber, che è anche ceo della compagnia petrolifera nazionale degli Emirati Arabi Uniti, ha ricordato il raggiungimento “dello storico, completo, equilibrato e innovativo” impegno preso a Dubai per una ‘transizione’ dai combustibili fossili, citati per la prima volta in modo esplicito in un documento ufficiale della Cop, dimenticando forse che molti Paesi si erano battuti per una più eloquente “fase di eliminazione”. Di fatto, gli Emirati Arabi hanno annunciato (per primi) il loro Ndc il 6 novembre scorso, impegnandosi a ridurre le emissioni del 47% (rispetto ai livelli del 2019) entro il 2035. Per diversi analisti questo target è insufficiente rispetto all’obiettivo di restare sotto l’aumento di temperatura di 1,5° C e “ingannevole”.
Come spiega Natalie Jones, policy advisor dell’Istituto Internazionale per lo Sviluppo Sostenibile, nel computo “non viene calcolata un’enorme fetta di emissioni, quelle derivanti dall’esportazione di petrolio e gas”. Tra l’altro, queste riduzioni verrebbero raggiunte con l’aiuto delle compensazioni nel settore dell’uso del suolo, del cambiamento di uso del suolo e della silvicoltura (Lulucf). Venerdì scorso, invece, sono stati annunciati gli impegni del Brasile, che ospiterà la Cop 30, quella dove tutti i Paesi dovranno arrivare con Ndc nuovi. Le prime analisi parlano di impegni deludenti: il governo prevede di arrivare a una riduzione di gas serra, che si aggira tra 1 e 0,8 gigatonnellata di anidride carbonica equivalente (GtCO 2 eq) nel 2035. Quindi un taglio che andrebbe dal 39% al 50%, nella migliore delle ipotesi rispetto al 2019. Secondo il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC), però, si raccomandano tagli del 60% entro il 2035 rispetto al 2019. Le carenze del Brasile sono significative, proprio in vista di ciò che accadrà alla Cop 30, anche perché dalla qualità degli Ndc dipende se si potranno raggiungere gli obiettivi di 1,5°C e 2°C fissati a Parigi. Sono attesi anche gli Ndc di Azerbaigian e Regno Unito.
L’Azerbaigian, le fonti fossili e il ruolo dell’Italia – Sono mesi che si parla del ruolo controverso del Paese ospitante, il cui sviluppo economico è fortemente legato alle esportazioni di petrolio e gas. Il think tank Ecco pubblica uno studio sulle relazioni, in ambito energetico, tra Roma e Baku. L’analisi conferma l’intensificarsi di una dipendenza dal gas dell’Azerbaigian, nonostante un forte calo della domanda europea. Ad oggi, i combustibili fossili rappresentano oltre il 90% dei proventi da esportazioni del Paese della Troika, il 60% delle entrate pubbliche e il 35% del Prodotto interno lordo. Il 95% delle esportazioni dell’Azerbaigian è composto da petrolio e gas naturale e i Paesi dell’Unione Europea (Italia in primis) rappresentano oltre la metà delle esportazioni totali del Paese. “Se le relazioni bilaterali tra l’Ue e l’Azerbaigian si sono perlopiù attenute a un quadro consolidato incentrato sull’energia e il commercio, tralasciando ogni prospettiva di associazione politica – racconta Ecco – nel corso degli ultimi quattro anni le relazioni italo-azere hanno subìto un rafforzamento che va al di là della dimensione prettamente energetica, favorendo la creazione di un partenariato strategico multidimensionale”. L’Azerbaigian, infatti, esporta verso Roma il 57% del proprio petrolio, quindi l’Italia è il primo mercato di destinazione del petrolio azero e l’Azerbaijan è tra i primi fornitori di petrolio per la Penisola, con una media all’incirca del 15% dell’import totale. Ad oggi, inoltre, Baku esporta circa il 20% della sua produzione di gas in Italia. L’Azerbaigian è il secondo fornitore di gas dell’Italia dopo l’Algeria, rappresentando circa il 16% dell’import totale di gas.
Una questione di alibi – A proposito di Italia, i Paesi europei consegnano un Ndc collettivo, che non sarà presentato prima della primavera e dipenderà dalla discussione riguardo un nuovo obiettivo europeo al 2040. La Commissione ha proposto un taglio delle emissioni pari al 90%. In Italia, la pianificazione nazionale passa dal Piano nazionale Integrato per l’energia e il clima”, il Pniec, che molti limiti continua ad avere. Ndc non allineati possono trasformarsi, esattamente come mancati impegni sul fronte della finanza, in alibi in quello che più volte, alle Cop, è diventato un gioco delle parti. I Paesi in via di sviluppo chiedono ai paesi ricchi impegni finanziari, condizione per fermare la loro corsa allo sviluppo attraverso i combustibili fossili. Non sarà nello spirito dell’Accordo di Parigi, ma questo è quanto. In questo contesto, hanno un forte peso sia le scelte di finanza, sia gli impegni di riduzione di Paesi strategici come il Brasile e particolarmente legati ai combustibili fossili, come i petro-Stati. In mezzo, ci sono i Paesi più vulnerabili. Tra i discorsi pronunciati alla plenaria di apertura della Cop, anche quello del responsabile delle Nazioni Unite per il clima, Simon Stiell, che arriva dall’isola di Carriacou di Grenada, colpita dall’uragano Beryl a luglio. Ha mostrato una fotografia che lo ritraeva insieme a un’anziana vicina, Florence, la cui casa è stata completamente distrutta dalla tempesta. “Ora è il momento di dimostrare – ha detto – che la cooperazione globale non è finita. Sta salendo in questo momento”.