Parte sotto pessimi auspici la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà da oggi fino al 22 novembre a Baku, in Azerbaigian. Non è un fattore favorevole ai negoziati il ritorno alla Casa Bianca dell’ex presidente Donald Trump, che nel 2017 fece uscire gli Usa dall’Accordo di Parigi e che, a leggere il Wall Street Journal, è pronto a rifare la stessa scelta firmando un ordine esecutivo ad hoc il 20 gennaio 2025, ovvero il giorno in cui entrerà in carica. Certo, i delegati presenti alla Cop29 saranno ancora quelli di Joe Biden che, per inciso, ha già annunciato che non ci sarà. E non è il solo: la sua assenza si aggiunge alle defezioni della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, del presidente russo Vladimir Putin, del presidente francese Emmanuel Macron, del cancelliere tedesco Olaf Scholz e del premier olandese Dick Schoof.

Neanche Luiz Inacio Lula da Silva andrà a Baku. Il presidente del Brasile, Paese che ospiterà la prossima decisiva Cop del 2025, ha annullato il viaggio per motivi di salute. Tutte queste assenze non sono un buon segno per la Cop già definita la ‘finance Cop’, ossia la Cop della finanza, quella durante la quale si deciderà il nuovo obiettivo di finanza per il clima (New Collective Quantified Goal, NCQG) che sostituirà il precedente obiettivo dei 100 miliardi annui, raggiunto finora solo nel 2022. Altre, perplessità, sono invece legate al Paese ospitante, l’Azerbaigian devastato dalle attività estrattive di gas e petrolio. Eppure, nell’agenda della Conferenza manca l’impegno a eliminare gradualmente i combustibili fossili, che pure era stato un risultato della Cop28 di Dubai. D’altronde, dopo la presidenza della Cop28 di Dubai affidata a Sultan Al Jaber, amministratore delegato della Compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti, la Cop29 sarà presieduta da Mukhtar Babayev, che per 26 anni ha lavorato per la compagnia petrolifera nazionale, la State oil company of Azerbaijan Republic (Socar), prima di diventare ministro dell’Ambiente. Emblematiche del clima di sfiducia nei confronti della Conferenza sono le parole di Justin Tkatchenko, ministro degli Esteri della Papua Nuova Guinea, uno dei paesi più esposti alle conseguenze della crisi climatica: “Una perdita di tempo, andare non serve a niente”.

Il clima politico e le incertezze sullo sfondo della Cop – Secondo molti osservatori tutto ciò si tradurrà in un’assenza di grandi decisioni alla Cop che, invece, dovrebbe fornire gli strumenti operativi (in primis finanziari) con cui mantenere gli impegni già presi e, ancora di più, quelli più ambiziosi che si dovranno assumere, attraverso la presentazione degli Ndc (Contributi nazionali determinati), da presentare entro febbraio 2025, quindi prima della Cop brasiliana del prossimo anno. Con Trump che ha già promesso al suo elettorato di uscire non solo dall’Accordo di Parigi (nel quale gli Usa erano rientrati nel 2021 con Biden). “Ma anche dalla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc), trattato firmato a Rio de Janeiro nel 1992 con l’obiettivo di tracciare un percorso per ridurre le emissioni di gas serra” ha ricordato Federica Fricano, vice capo-delegazione italiana della Cop29 per il ministero dell’Ambiente in un incontro organizzato dal think tank Ecco.

Significherebbe uscire completamente dai negoziati e dalle discussioni, seguendo una propria strada, certamente sul fronte della mitigazione (quindi della riduzione delle emissioni e dell’addio alle fonti fossili che Trump non vuole affatto abbandonare). E resterebbe l’incognita sui finanziamenti Usa per i paesi più poveri del mondo. Sono anni che alle Cop si discute su chi e in che misura debba aiutare economicamente questi Paesi che, pur avendo inquinato di meno, sono quelli che pagano maggiormente gli effetti dei cambiamenti climatici. Il principio dovrebbe essere quello delle responsabilità comuni ma differenziate tra i Paesi emettitori di gas a effetto serra. “È tradizione alle Cop che ciò che si decide su mitigazione o adattamento finisca col dipendere da ciò che accade sul fronte della finanza per il clima” spiega Federica Fricano. Perché i Paesi in via di sviluppo (di cui la Cina fa parte solo sulla carta, dato che oggi è una superpotenza), prima di impegnarsi nella mitigazione, chiedono impegni finanziari da parte dei Paesi ricchi.

La Cina non si fermerà. Nonostante Trump – “Questa situazione politica potrebbe creare un clima di sfiducia – ha spiegato in un recente webinar Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia e presenza storica alle Cop – ma Paesi come Cina e India hanno già sperimentato gli effetti positivi della transizione. Se Pechino continuerà a correre su questa strada spedita, senza passi indietro come ha fatto l’Europa, ne avrà solo un vantaggio competitivo. Non credo che gli Stati Uniti possano permetterselo”. Per Luca Bergamaschi, direttore e co-fondatore di Ecco, “potenze come Cina ed Europa si muovono sul fronte tecnologico a prescindere dagli obiettivi climatici. La Cina non si muove per il clima, ma per la competitività. Per gli Usa indietreggiare sarebbe un atto di autolesionismo”. Ma se sul fronte della Cop sono in pochi ad attendersi grandi impegni politici, qualcuno scommette sul G20 a guida brasiliana tra capi di Stato e di governo che si terrà proprio nei giorni finali della Cop. “Per la prima volta – ha spiegato Eleonora Cogo, esperta senior di finanza internazionale di Ecco – il Brasile mette a sedere al tavolo i ministri che si occupano di clima con quelli che si occupano di finanza”. E l’Europa? “Ha confermato la direzione della transizione, anche se non è una priorità come nella passata legislatura” ha commentato Mariagrazia Midulla del Wwf, secondo cui “c’è una grande spinta a cercare di perdere tempo con tecnologie inutile e costose, a iniziare dal nucleare“. Dal punto di vista della posizione negoziale ci sarà anche Teresa Ribera, oggi commissaria europea alla Transizione ecologica. Alla Cop 28 di Dubai definì “disgustosa” la lettera con cui l’Opec aveva cercato di ostacolare l’accordo finale del vertice.

Gli obiettivi finanziari della Cop29 – L’obiettivo principale da raggiungere a Baku è quello di concordare un nuovo obiettivo finanziario, il New Collective Quantified Goal (NCQG). Si tratta di una vera rivoluzione dell’architettura finanziaria per il clima, perché questo target servirà a coprire e sostituire i fondi già esistenti. A iniziare dai 100 miliardi di dollari all’anno del Fondo Verde per il clima da mobilitare fino al 2020 (target prorogato fino al 2025 e finora raggiunto solo nel 2022). Il New Collective Quantified Goal lo sostituirà dal 2026 e dovrebbe inglobare anche l’Adaptation Fund. Non è chiaro se sarà incluso anche il fondo per le perdite e i danni subite dai Paesi poveri a causa degli effetti dei cambiamenti climatici, la cui istituzione è stata approvata alla Cop28 di Dubai. Ad oggi sono stati erogati poco più di 700 milioni di dollari a fronte di un bisogno che ammonterebbe a circa 400 miliardi di dollari l’anno. Alla Cop29 dovrebbero essere discussi anche altri parametri che determineranno la portata del New Collective Quantified Goal, come la sua scadenza, quali saranno i Paesi contributori o se riguarderà anche il settore privato. “Bisognerà anche contestualizzare questo goal – ha spiega Eleonora Cogo di Ecco – in quella che è la situazione di crisi rispetto al debito che si è venuto a creare negli ultimi anni dopo la pandemia e la guerra in Ucraina e alla spirale di ‘debito e clima’ che si sta creando in molti Paesi, soprattutto in quelli più vulnerabili”, strozzati tra alti costi del debito e alti costi del capitale. Anche per fermare questa spirale “le banche multilaterali di sviluppo dovranno giocare un ruolo molto maggiore rispetto a quanto fatto finora. Tutto questo sarà inutile se non si chiuderanno i rubinetti alla finanza fossile”.

L’eredità (tutta da attuale) del Global Stocktake – Da tutto ciò dipenderà anche l’azione sul fronte della mitigazione. Lo scorso anno, per la prima volta e anche se con un linguaggio di ‘compromesso’, i combustibili fossili sono stati citati esplicitamente in un testo della Conferenza delle parti sul clima, il primo Global Stocktake, il bilancio globale sulle azioni intraprese e da intraprendere per evitare il collasso climatico (“Transitare fuori dai combustibili fossili”). Sulla base di quel documento, quindi, gli Stati devono preparare nuovi e molto più ambiziosi Contributi Nazionali Determinati (NDC) allineati con l’obiettivo di Parigi di limitare il riscaldamento a 1,5°C rispetto al periodo preindustriale. “Ci si aspettava che già a questa Cop, qualche Paese annunciasse nuovi Ndc e lo hanno fatto gli Emirati Arabi, ma si sta man mano riducendo la partecipazione alla Cop di leader di Paesi strategici” racconta Federica Fricano. Non è un segno di accelerazione. E, a proposito di Ndc, meno ancora lo è il fatto che l’Azerbaijan stia continuando ad aumentare la produzione di gas, nonostante si fosse impegnato, nell’Ndc presentato nel 2023, a ridurre le sue emissioni di gas serra del 40% entro il 2050. Su quel gas, per inciso, l’Unione europea è la prima acquirente.

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