Condanne ridotte in appello nel processo al clan della ‘ndrangheta dei Maiolo-Manno a Pioltello, nel Milanese. La riduzione è stata dovuta all’applicazione della “continuazione” delle pene con altre condanne, soprattutto quelle dell’ormai storico procedimento “Infinito contro le cosche del 2010. La Corte d’Appello di Milano ha così parzialmente riformato la sentenza di primo grado, riducendo le condanne, ma confermando l’impianto accusatorio.

L’inchiesta condotta dalla Polizia – che aveva portato agli arresti nel dicembre 2022 – avevamesso in luce come l’organizzazione criminale operasse sia nelle forme “classiche”, tra cui traffici di droga e armi, richieste di pizzo, intimidazioni e usura, sia con quelle più sofisticate come l’infiltrazione nei business, la creazione di “serbatoi di manodopera” e “affari” sul trasporto salme in piena pandemia, e pure l’inquinamento delle competizioni elettorali. Secondo l’accusa, infatti, il clan avrebbe anche fornito appoggio nel 2021 a un candidato sindaco, non eletto, del centrodestra a Pioltello.

La seconda sezione della Corte d’Appello ha applicato una pena finale di 17 anni e 4 mesi, in continuazione con gli 11 anni e 4 mesi del processo “Infinito”, per Cosimo Maiolo, ritenuto il boss della “locale” di Pioltello. Gli resta da scontare, dunque, una pena residua di poco più di 3 anni. In primo grado in abbreviato, solo per l’ultimo processo, era stato condannato dal gup Anna Calabi a 12 anni e 8 mesi. Ad uno dei figli, Salvatore Maiolo, la pena finale, in continuazione col processo “Infinito” e con un altro per sequestro di persona, è stata portata a poco più di 13 anni e gli restano da scontare meno di due anni. Per Antonio Maiolo, anche lui figlio di Cosimo e sempre difeso dal legale Perlino, la pena in continuazione con “Infinito” è stata portata a 6 anni, con sei mesi residui da scontare. Per tre posizioni sono stati accolti i concordati, ossia i patteggiamenti in appello a pene fino a 8 anni e 8 mesi.

La Corte d’Appello ha ancora confermato il risarcimento di 17.000 euro per WikiMafia APS, unica parte civile costituitasi al processo. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado, il giudice per l’udienza preliminare aveva sottolineato che doveva essere “riconosciuta l’importanza” delle associazioni di promozione sociale attive in “quei territori in cui la presenza della mafia plasma la vita dei cittadini che, spesso, vedono come ineluttabile il fenomeno nella zona in cui vivono”.

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