Nell’agosto del 2018 in Islanda si è celebrato il primo funerale per un ghiacciaio, l’Okjokull. Forse nell’estremo nord la popolazione è più sensibile rispetto a noi, perché in Italia avremmo già dovuto celebrarne enne, di funerali. “Negli ultimi vent’anni, sulle Alpi italiane, si sono estinti almeno 180 ghiacciai” così l’eminente geografo e glaciologo Claudio Smiraglia. I simil terrapiattisti dicono che non c’è da preoccuparsi, che i ghiacciai vanno e vengono. Ad esempio, per citare la storia vicina a noi, i Walser scavalcarono le Alpi per insediarsi in Val Formazza nel XIII secolo, passando dove oggi vi sono i ghiacciai. E subito dopo vi fu quella che viene oggi denominata “piccola era glaciale”. Quindi, il ghiaccio va e il ghiaccio viene.

Personalmente, dubito che abbiano ragione Franco Prodi e compagnia. Forse è un modo inconscio per non sentirci responsabili tutti noi di ciò che accade. E sta accadendo appunto che i ghiacciai si stanno ritirando dappertutto. Certo che questi ghiacciai sono una “cosa“ ben strana. Lo stesso Smiraglia paragonò il ghiacciaio a una roccia metamorfica. Successivamente il Servizio Glaciologico Lombardo una “massa compatta plurimetrica permanente di ghiaccio naturale, derivante dal metamorfismo della neve, che si origina sulla terra ferma ed è soggetta a deformazioni gravitazionali”. Definizione che ci dice anche che il ghiacciaio è vivo, si trasforma e si muove. Del resto, molto banalmente, notiamo quanto arretra anche solo nel corso delle nostre brevi vite. E infine (?) contiene dentro di sé una storia, di anni, migliaia di anni. Insomma, una realtà multiforme, difficile da “acchiappare” in tutti i suoi aspetti.

Ci hanno provato Davide Sapienza e Lorenzo Pavolini a raccontarci questo e molto altro in un podcast – in onda su RaiPlay Sound dal 5 giugno – il cui titolo “Ghiaccio sottile” rimanda all’affermazione fatta da Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, dopo l’ultimo cruciale rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change: “L’umanità è in bilico su un sottile strato di ghiaccio, che si sta fondendo velocemente.” Il loro è un viaggio affascinante tra storia, scienza, e sentimento che prende le mosse dal più grande ghiacciaio delle Alpi italiane, l’Adamello, per spingersi fino alle terre degli Inuit, ma anche nel whiteout della regione montuosa del Dovrefjell, nella Norvegia centrale e del Vatnajökull, il maggiore ghiacciaio europeo, in Islanda. Il whiteout, ossia il bianco totale che fonde cielo e terra intorno a te, e crea un fenomeno di totale spaesamento, un po’ come quello che ci troviamo a vivere all’interno del cambiamento climatico.

Un viaggio alla scoperta del ghiaccio, ma appunto anche del clima: due realtà intimamente e profondamente connesse. Che potremmo definire “iperoggetti” alla Timothy Morton. Un viaggio che mi piace definire “scricchiolante”, come i rumori che accompagnano buona parte dell’avventura, anche se, all’interno, il ghiacciaio ha una propria musica, come ci ricorda Sergio Maggioni, musica che rimanda un po’ a L’Arca dei suoni originari di David Monacchi. Al termine del viaggio emergono i ricordi di chi di noi ha calcato ghiaccio dove oggi sono solo ciottoli e sabbia, ed emerge la paura del futuro, quando, con il trend attuale, i ghiacciai delle nostre Alpi non ci saranno più. E la migrazione Walser sarà molto lontana.

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