Ci sono stati contatti tra Silvio Berlusconi e Urbano Cairo nelle settimane precedenti alla chiusura di Non è l’Arena, la trasmissione di Massimo Giletti sospesa in anticipo da La 7. A raccontarlo è il quotidiano Domani, che accredita l’informazione a fonti giudiziarie di Firenze, la procura ancora impegnata nell’inchiesta sulle stragi del 1993. Un fascicolo che vede indagati sia Berlusconi che Marcello Dell’Utri, nell’ambito del quale i procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli stanno anche facendo verifiche sulla chiusura di Non è l’Arena. Dopo aver sentito Giletti, è probabile che i pm ascoltino anche Cairo come persona informata dei fatti.

Come è noto l’editore di La 7 e di Rcs ha cominciato la sua carriera al servizio di Berlusconi, dunque eventuali contatti col suo ex datore di lavoro sarebbe fisiologici. Secondo il quotidiano di Carlo De Benedetti, però, al centro dei colloqui tra l’uomo di Arcore e Cairo ci sarebbero stati proprio i servizi delle ultime puntate di Non è l’Arena, e dunque le stragi, i legami tra pezzi dello Stato e Cosa nostra e il ruolo di Dell’Utri, co-fondatore di Forza Italia che ha già scontato una condanna definitiva per concorso esterno a Cosa nostra. Come ha raccontato Il Fatto Quotidiano la trasmissione di Giletti è stata chiusa proprio quando il conduttore stava preparando una puntata sullo storico braccio destro di Berlusconi.

Ma perché alla procura di Firenze, titolare delle indagini sulle stragi, dovrebbe interessare la fine del programma di Giletti? La risposta a questa domanda ha un nome e un cognome: quelli di Salvatore Baiardo, l’uomo che in un’intervista a Giletti aveva profetizzato l’arresto di Matteo Messina Denaro con tre mesi d’anticipo. Ai magistrati il conduttore ha raccontato che Baiardo gli ha fatto vedere una foto. Uno scatto che immortalava Berlusconi, il generale dei carabinieri Francesco Delfino e un terzo uomo che per Baiardo era Giuseppe Graviano, ma che Giletti non è riuscito a riconoscere perché l’ex gelataio di Omegna non gli ha mai consegnato l’istantanea. L’uomo che negli anni ’90 gestiva la latitanza dei fratelli Graviano in Nord Italia ha smentito, negando l’esistenza di quella foto sia pubblicamente che davanti ai pm. Alcune intercettazioni, effettuate dopo il racconto di Giletti ai pm, smentiscono però questa versione. In tutta questa storia, dunque, diventa fondamentale capire esattamente quale è stato il gioco di Baiardo e cosa si stava muovendo mentre l’ex gelataio andava in tv, annunciando nuove rivelazioni. Secondo Domani alcuni documenti dimostrano come il profeta dell’arresto di Messina Denaro sia conoscenza di incontri – sempre negati dalla difesa dall’ex premier – tra lo stesso Graviano e Berlusconi, l’anno precedente a quella che è la data ufficiale della nascita di Forza Italia. Tre anni fa Graviano ha sostenuto di essere stato in affari con l’uomo di Arcore e di averlo incontrato tre volte quando era ancora latitante. Poi, parlando sempre al processo di Reggio Calabria sulla ‘Ndrangheta stragista, ha invitato gli inquirenti a indagare sul suo arresto per scoprire i veri mandanti delle stragi. Accuse mai dimostrate, sempre smentite dai legali di Berlusconi.

Certo è che anche Dell’Utri parlava delle trasmissioni di La 7. Nel 2021, infatti, l’ex senatore era intercettato mentre parlava delle sue strategie di difesa con l’avvocata di Mediaset, Enrica Maria Mascherpa, e con il tesoriere di Forza Italia, Alfredo Messina. Dell’Utri spiegava che in ballo, al processo di Palermo sulla cosiddetta Trattativa Stato mafia, non c’era solo lui. Per questo spiegava a Messina che pagare i suoi avvocati equivaleva a pagare la difesa di Berlusconi e di Forza Italia. E secondo Domani si lamentava della puntata di Giletti dedicata proprio alla Trattativa. Processo dal quale è stato assolto definitivamente poche settimane fa. Nello stesso periodo, tra l’altro, Dell’Utri rilasciava una surreale intervista al Foglio in cui, tra le altre cose, smentiva il licenziamento di Cairo da parte di Berlusconi. “È una bugia. Se ne andò lui. E le racconto anche perché se ne andò: aveva vissuto come una deminutio lo spostamento a Mondadori. Cosa che in realtà era una promozione. Ma poiché voleva prendere il mio posto di capo di Publitalia, cosa impossibile, si arrabbiò. Lui era, ed è ancora, un tipo assai rampante. E se posso, anche un pizzico irriconoscente“, erano le parole dell’ex senatore che si riferiva al trattamento subito da La 7. “So bene che un editore bravo non interviene. Ci mancherebbe. Però, diamine, lui mi conosce. Come può pensare di me le cose che dicono in alcune sue trasmissioni? L’informazione è una cosa. L’accanimento è tutto un altro paio di maniche”.

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