“Sono parzialmente soddisfatto, considerando che per 20 anni mi hanno tenuto sotto processo. Ero convinto di non aver fatto nulla. Il mio mestiere lo conosco e so che se avessi sbagliato me ne sarei accorto”. Il generale, ex Ros, Mario Mori, assolto con gli altri imputati in via definitiva dalla Cassazione nel processo sulla trattativa Stato-mafia commenta così il verdetto della Suprema corte su uno dei processi più complessi della storia recente. Storia in cui una trattativa ci fu da parte dei carabinieri, ma nell’interesse dello Stato come hanno ritenuto i giudici di secondo grado. Alle parole di Mori si aggiungono quelli di Giuseppe De Donno: “Il nome del Ros e l’Arma sono stati infangati. Finalmente ci è stata restituita la dignità” dice all’Adnkronos l’ufficiale. Per Antonio Subranni parla la figlia Danila che dice “Onore ai combattenti. A quelli ancora in piedi e forti e a quelli seduti, per malattia e per stanchezza. Come mio padre. Arrivi vigore a tutti da questa sentenza che dà la convinzione e anche la speranza che la giustizia, se sbaglia, può tornare indietro. Io non ho il dono della dimenticanza e per me chi sbaglia deve pagare. Magistrati onorevoli hanno finalmente restituito la dignità non a mio padre, non ai “combattenti” che mai l’hanno perduta, ma alla giustizia stessa di cui predicano il verbo. In altre sedi e in modo lineare, a testa alta, io e la mia famiglia chiederemo a uno a uno, nei linguaggi e nei modi che la legge consente, il risarcimento di tanto dolore inflitto che non ha portato bene neanche a loro, vergogna dello Stato. La Cassazione, confermando l’assoluzione per non avere commesso il fatto, silenzia per sempre le voci scomposte degli accusatori di professione e di occasione e le voci degli ignoranti. La tela di ragno è stata squarciata dal vento, il loro castello si è infranto. Adesso, si pieghino e ne raccolgano, in silenzio, i pezzi”.

“Questo processo non doveva neanche cominciare, alla luce di come è finito. Marcello Dell’Utri era estraneo a tutte le accuse e ora gli viene riconosciuto anche dalla Corte di Cassazione – dice all’Adnkronos Francesco Centonze, legale dell’ex senatore di Forza Italia -. La trattativa era insussistente. E in ogni caso Dell’Utri era estraneo. Oggi viene riconosciuto un lavoro di questi anni ma non abbiamo mai dubitato che finisse così”. E parlando degli ultimi anni tra indagini, processo di primo e secondo grado, Centonze dice: È chiaro che è stato un periodo durissimo – spiega – 30 anni di processo che avrebbero fiaccato chiunque. La verità che Dell’Utri ci trasmetteva andava in questa direzione, non abbiamo mai dubitato che dovesse finire in questo modo”.

L’ex pm Ingroia: “Cronaca di una sentenza annunciata” – “Se dovessi definire questa sentenza, mi verrebbe da fare una semi citazione letteraria ‘Cronaca di una sentenza annunciata’. Perché era stato annunciato e preannunciato che lo Stato italiano intendesse autoassolversi. C’era già stata una anticipazione nella sentenza di appello del processo trattativa di Palermo, nella quale si era riconosciuto che la trattativa c’era stata e che c’era stata la minaccia nei confronti dello Stato, ma che ne rispondevano solo i mafiosi e non gli uomini dello Stato che si erano fatti veicolo. Perché il fatto, secondo i giudici di secondo grado, non costituisce reato. Ora, in Cassazione, c’è stato un ulteriore salto in avanti nella autoassoluzione dello Stato italiano. E cioè ora gli uomini dello Stato vengono assolti per non avere commesso il fatto” spiega all’Adnkronos è l’ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, che ha lasciato la magistratura e oggi è avvocato penalista. Fu lui a rappresentare l’accusa nel processo di primo grado, almeno fino a quando lasciò la Procura per trasferirsi in Sud America, in Guatemala, dove faceva parte della Commissione per l’impunità. “Quindi – spiega dopo avere appreso la notizia della assoluzione per generali e politici – il fatto c’è. C’è stata anche la minaccia che costituisce la premessa della trattativa, una minaccia che però ora i giudici di Cassazione dicono che non è una minaccia compiuta, ma una minaccia tentata. Così rimane senza conseguenze penali per nessuno. Anche i mafiosi per i quali il reato viene dichiarato prescritto. A me pare una sentenza contraddittoria, perché bene o male la sentenza di appello aveva una sua logica, seppure discutibile”. Per Ingroia “c’è stata una minaccia, c’è stata la trattativa e di questo rispondono i mafiosi, perché gli uomini dello Stato lo avevano fatto “a fin di bene”, una impostazione da noi non condivisa ma con una logica”. “Leggeremo le motivazioni per capire la logica dei giudici della Suprema Corte – aggiunge l’ex magistrato all’Adnkronos – ma se il fatto c’è, tanto è vero che Mori e De Donno vengono assolti per non avere commesso il fatto, questo fatto attraverso quali canali è andato?”. “Quali sono i canali attraverso cui il fatto è stato commesso? Questo non è ben chiaro. leggeremo le motivazioni della sentenza – dice ancora Antonio Ingroia – È possibile che si voglia mettere in discussione il ‘papello’. Quindi le dichiarazioni dei collaboratori sul ‘papellò. Non è ben chiaro. Certo è che l’esito di questa vicenda processuale, non è incoraggiante per i cittadini. Questa sentenza ha acclarato che si è tentato di sottoporre sotto minaccia lo Stato, che c’ stata una trattativa ma alla fine nessuno ne risponde, né gli uomini dello Stato neppure la mafia. Insomma, non è un bel segnale che lo Stato lancia ai cittadini”.

La famiglia Borsellino: “Accertare eventuali recenti depistaggi” – “Adesso è arrivato il momento di concentrarsi sul ‘nido di vipere’ di cui parlava Paolo Borsellino… Si sono persi tanti anni preziosi. Ora, finalmente, c’è spazio per la verità storica” commenta l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino e marito di Lucia Borsellino, la figlia maggiore del giudice. Un mese prima di morire Paolo Borsellino “appariva come trasfigurato, senza più sorrisi. Era provato, appesantito, piegato”, aveva detto in aula il magistrato Massimo Russo, che collaborava con Borsellino. Da poche settimane la mafia aveva ucciso il suo amico Giovanni Falcone nel massacro di Capaci, e lui continuava a lavorare nel suo ufficio di procuratore aggiunto a Palermo, che però considerava “un nido di vipere”. Da qui la frase dell’avvocato di famiglia. “Hanno tentato in tanti modi per spiegare l’accelerazione della strage di via D’Amelio, pur di non guardare altrove – dice Trizzino – Si sono persi tanti anni. È giunto il momento di capire perché non si volle guardare a quello che Borsellino voleva fare e alle terribili difficoltà che incontrò dentro la Procura di Palermo. C’è spazio per una verità storica e per l’accertamento di eventuali recenti depistaggi sul tema del difficile periodo di Borsellino in quella procura retta da Pietro Giammanco“. “In tutti questi anni si è sempre cercato di spiegare l’anomala accelerazione della esecuzione della strage di via D’Amelio facendo voli pindarici, prima inserendo Bruno Contrada sul luogo della strage, ora prospettando n qualche modo che Paolo Borsellino avesse saputo di questa trattativa e che si era messo di mezzo ostacolandola e per questo muore – dice ancora Trizzino- Sono tutti tentativi, in qualche modo, per non guardare a ciò che stava facendo e a cià di cui si stava occupando e quello che stava accadendo all’interno della Proucra”. Il legale parla, quindi, “dell’interesse che Borsellino mostrava sul dossier mafia e appalti”, “tanto è vero che il giudice incontrò segretamente Mori e De Donno per dare sfogo a quel rapporto”. “Nel frattempo c’era stata la famosa archiviazione del dossier del 13 luglio 1992, pochi giorni prima della strage di via D’Amelio. E’ giunto il momento di andare a guardare lì cosa è successo” e “se ci sono state manovre depistatorie anche recenti” per “riuscire ad allontanare il focus dell’attenzione dal nido di vipere”. E conclude: “Evidentemente qualcuno ci ha lavorato…”.

Fiammetta Borsellino: “C’è chi ha costruito le loro carriere su questo processo, immeritatamente” – “Non ho letto la sentenza, quindi preferisco non entrare nel merito del processo trattativa, però una cosa la voglio dire: c’è chi ha costruito le loro carriere su questo processo, immeritatamente – dice Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice all’Adnkronos – Sa quale è il danno più grande? Questo processo, come altri prima, sono stati celebrati fuori dalle aule di giustizia, prima ancora che si esaurissero nei tre gradi di giudizio. A prescindere dalla innocenza degli imputati”. Fiammetta Borsellino se la prende, senza mai citarli, con i magistrati dell’accusa che sono stati ospiti in numerose trasmissioni televisive. “L’ho trovato un comportamento scorretto che fa male alla società tutta – dice – , è assurdo che tutti conoscano un processo di questo tipo solo perché mediaticamente è stato pubblicizzato, mentre nessuno conosce processi come il ‘Borsellino quater‘ Io mi soffermo sul fatto che prima ancora che finisse l’iter giudiziario – aggiunge Fiammetta Borsellino – sono stati pubblicizzati da chi li aveva in carico, ripeto: prima ancora della fine del processo. È un atteggiamento che ho sempre criticato”. “Poi, è ovvio che la giustizia debba fare il suo corso, ma è deontologicamente scorretto fare una operazione del genere. Ribadisco che su questo c’è chi ha costruite delle carriere, sul nulla. Su processi che poi si sono dimostrati dei fallimenti. Ne faccio una questione deontologica”. “È un messaggio brutto da dare alla società – aggiunge Fiammetta Borsellino – che alla fine si costruiscono carriere su processi che vengono pubblicizzati prima della fine del processo”. E aggiunge: “Ci sono stati anche giornalisti che sono stati complici di operazioni del genere… c’è tutto un sistema che va dietro al potere”. “Queste persone hanno raggiunto questa fama, che non è fondata su nulla se non sull’autorefenzialità. E il messaggio che si da ai giovani non è positivo. Passa il messaggio che basta scrivere libri o andare in tv per diventare famosi”. E conclude: “Non commento la sentenza ma il comportamento portato avanti in questi anni, lo ripeto. Una operazione altamente scorretta”.

“L’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage di Via dei Georgofili di Firenze, preso atto del dispositivo della Cassazione di oggi, ricorda che per cinque sentenze precedenti la trattativa Stato-mafia del 1992 c’è stata; che tale trattativa per la Cassazione costituisce reato di tentata minaccia ai governi Amato e Ciampi e che il Ros non ha concorso nel tentativo di minaccia al governo. Resta dunque il fatto storico inoppugnabile che quella trattativa, interrotta con la cattura di Riina, portò alle stragi in continente del 1993 e al sangue innocente di Caterina e Nadia Nencioni, dei suoi genitori e di Dario Capolicchio”. Così, in una nota, l’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili di Firenze. “Siamo stupiti e delusi delle conclusioni del procedimento in Cassazione – commenta il presidente dell’associazione, Luigi Dainelli – perché ben altri cinque giudizi precedenti avevano confermato quella improvvida trattativa era stata l’antefatto della decisione della mafia di spostare i propri attacchi allo Stato nel 1993 a Firenze, Roma e Milano”.

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