Continuano gli avvertimenti del mondo scientifico sul cambiamento climatico, ma oramai non fanno più effetto. Gli Stati, con l’Unione Europea in prima linea, stanziano fondi per la transizione ecologica (il 70% del Pnrr dovrebbe essere speso a questo fine), ma poi li usano per tutt’altro. Chi vende fossili rallenta la transizione proponendo rigassificatori e trivellazioni in mare: si transita continuando a bruciare combustibili fossili. I nuclearisti esultano perché le centrali nucleari non producono emissioni e le spacciano per sostenibili, come se non ci fossero altri problemi. Come appartenente alla nostra specie, che si è anche riprodotto, sono preoccupato. Un pochino so “leggere” lo stato dell’ambiente ed è chiarissimo che le cose di oggi sono ben differenti da quelle di cinquant’anni fa, ma questo non significa che tutto crollerà.

Ricordo quando Jacques Cousteau affermò che il Mediterraneo sarebbe morto entro vent’anni. Il Mediterraneo è ancora vivo ed è morto lui. Il riscaldamento globale lo sta trasformando in un rifugio per specie tropicali che formano popolazioni rigogliose, mentre le specie che non amano il caldo sono in regressione. E’ sempre successo nella storia della vita: i grossi cambiamenti spazzano via moltissime specie, ma la loro dipartita lascia campo libero ad altre specie. E il gioco ricomincia. Ci sono state cinque estinzioni di massa e ora ci dicono che sia in corso la sesta. (Avvertenza: il brano successivo è ottimista per assurdo). Che problema c’è? Il pianeta ne ha superate cinque e supererà anche la sesta. Quelli che dicono: chi se ne fotte del pianeta? Hanno ragione.

Il pianeta non corre alcun rischio. Forse neppure la nostra specie corre grandi rischi. Magari ne usciremo ridimensionati in termini di numero di individui, ma ce la caveremo. Siamo adattabili e risolviamo problemi complessi. Certo, i poveri se la vedranno male. Se la vedono già male. Rischiano le loro vite e quelle dei loro figli per fuggire da condizioni miserevoli, morendo a migliaia, ed è solo l’inizio. La povertà avanza anche da noi, ce lo dice la pubblicità martellante dei supermercati a basso costo e il proliferare di negozi che vendono merce dozzinale. Nel nostro paese, un paese avanzato, i giovani non hanno prospettive, i salari non salgono e anzi scendono.

La precarietà è rampante. Siamo rassegnati a pensare che il futuro dei nostri figli sarà meno roseo del nostro passato. Erediteranno qualche appartamento, un po’ di soldi risparmiati, ma queste risorse si esauriranno. L’impoverimento e il cambiamento climatico sono due facce della stessa medaglia. Abbiamo disegnato sistemi di produzione e consumo che, nel medio e lungo termine, si stanno rivelando fuochi di paglia, o bolle, se volete. Crollano le banche in California e in Svizzera. Come crollò il Banco Ambrosiano e le piccole banche regionali che hanno bruciato i risparmi di molti. Crolla la finanza e declina l’economia: si mira alla crescita e si ottiene il tracollo.

Questi segnali economici dovrebbero allarmarci forse più di quanto ci allarmi il cambiamento globale (che non ci fa né caldo né freddo a quanto pare). Ma ci si abitua a tutto. Ricordo i telegiornali durante la guerra del Vietnam, si guardavano a cena. Ci mostravano le immagini dei bambini bruciati dal napalm, la strage di My Lai. Le prime volte ci fu l’orrore. Ma presto subentrò l’assuefazione. Vedi la bambina nuda bruciata dal napalm che piange e va incontro al fotografo a braccia aperte e ti scopri a dire: mi passi l’olio, per favore? Mangia. Pensa ai bambini del Biafra che muoiono di fame! Al sentire quelle esortazioni mi scappava la voglia di mangiare. Loro muoiono di fame e io mi devo ingozzare? E che ci vuoi fare?

Già. L’Africa è lontana. Ora quei bambini arrivano da noi e molti affogano. Perché non se ne stanno a casa loro? E già, perché? Perché muoiono di fame! Si tratta di fenomeni concatenati. Segnali. Ma tutti gli Stati si guardano, in attesa che uno faccia la prima mossa, e i primi responsabili del cambiamento globale, Cina e Usa, fanno orecchie da mercante. L’Unione Europea ci prova, ma gli stati attuano la transizione in modi contraddittori (noi rigassifichiamo e trivelliamo, per esempio. Mica scemi).

Come facente parte della comunità scientifica che si occupa di ambiente continuo a ripetere gli allarmi fino alla noia. Stupito che non si riescano a capire cose talmente lampanti. Guardo i programmi di approfondimento in tv e questi problemi non vengono quasi mai rimarcati. I vari Tozzi e Mercalli sono accusati di catastrofismo e chi mette un po’ di vernice (lavabile) su qualche monumento viene strattonato e considerato un deficiente e un cretino. La colpa è sempre degli altri: dillo ai cinesi e agli africani. Quando lo faranno loro lo faremo anche noi. Un muro di gomma logico che non si riesce a smuovere.

Scommettiamo che continueremo come se niente fosse? Contro ogni logica e contro ogni evidenza? Mi piace vincere facile. La nostra specie ha già subito molte catastrofi locali, intere civiltà sono scomparse, altre hanno preso il loro posto. Resterà qualche angolo del pianeta dove si potrà ancora vivere decentemente e tutti vorranno vivere lì, già stanno arrivando qui, ma ora la siccità avanza. Non c’è posto per tutti. Ne vedranno delle belle. Uso il futuro perché spero di non dover assistere a questi avvenimenti. Sono preoccupato per mia figlia. Mi passi il sale?

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