Da una parte la legge, dall’altra la richiesta di una coppia di genitori di far prendere il diploma di maturità anche alla figlia affetta dalla sindrome di Down. La delicata storia si svolge a Bologna, al liceo delle scienze umane “Sabin” diretto da Rossella Fabbri, una preside che punta molto all’inclusione. Sotto i riflettori Nina Rosa Sorrentino, 19enne che avrebbe voluto come tutti gli altri compagni effettuare l’esame di Stato ma per la scuola non è possibile, norma alla mano. Un braccio di ferro tra il liceo e la famiglia, sostenuta dal Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21) e dall’associazione nazionale CoorDown che finora ha portato solo alla scelta di abbandonare il cammino fatto finora. Nina, infatti, dal momento che non potrà fare l’esame di maturità si è ritirata dal liceo a meno di tre mesi dalla quinta.

Il caso è tutto legato alla burocrazia, alle carte, al famoso “Pei”: il piano educativo individualizzato che viene compilato dalla scuola e dalla famiglia. Quest’ultima dall’inizio del triennio aveva chiesto agli insegnanti di cambiarlo passando dal programma differenziato per gli alunni certificati (che alla fine del quinquennio fa ottenere solo un attestato di competenze) a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di maturità. Una domanda respinta dal Consiglio di classe. A spiegare al “Fatto Quotodiano.it” il caso è la dirigente Fabbri: “Non posso entrare nel merito della questione specifica per tutelare la privacy della nostra alunna e della sua famiglia ma noi ci siamo attenuti alla normativa, al decreto interministeriale 182/2020” che chiarisce i criteri di composizione e l’azione dei gruppi di lavoro operativi per l’inclusione (Glo) e, in particolare uniforma a livello nazionale le modalità di redazione dei piani educativi individualizzati (Pei). “La legge – spiega la preside – definisce obiettivi minimi, misti e differenziati. Se si fa la scelta di fare i differenziati quando si cambia dev’essere il consiglio di classe che prende decisioni sulla base di osservazioni. In base alla Legge vigente il titolo di studio ha valore legale, non esiste diritto al diploma per queste persone”.

Per Nina il consiglio di classe ha ritenuto opportuno non accogliere la richiesta della famiglia. Ed è la preside a sostenere i colleghi: “Mi occupo di disabilità da tempo, inclusione è valorizzare ciò che c’è e non far finta che non ci sia la disabilità. Garantire un percorso scolastico a tutti ma sempre secondo quello che prevede la legge”. La famiglia, tuttavia, non intende arrendersi. Ha portato al tavolo della preside i legali CoorDown, ha denunciato pubblicamente il caso e ora è pronta a raccontare il tutto anche in tv.

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