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IL PROLOGO DELLE STRAGI - 2/15

Ecco chi era davvero l'ultima "primula rossa" di Cosa nostra, il boss arrestato a Palermo dopo trent'anni di latitanza. I primi passi nella famiglia mafiosa di Castelvetrano (Trapani), l'incontro alla Fontana di Trevi con Giuseppe Graviano per pianificare gli attentati del '92-93, il rapporto con il senatore Antonio D'Alì di Forza Italia, le tante volte in cui è scampato alla cattura. Le ricchezze attribuite a lui finora sequestrate ammontano a circa 7 miliardi di euro
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IL PROLOGO DELLE STRAGI

Qualcosa si muove pure in Sicilia. Qualcosa di terribile. Poche settimane prima, il 30 gennaio, la corte di Cassazione ha messo il bollo sugli ergastoli del Maxiprocesso: per i mafiosi condannati vuol dire il carcere a vita. Non era mai successo: quello è il primo, plateale, schiaffo dello Stato a Cosa nostra. Il secondo arriva pochi giorni dopo, quando la corte d’assise d’Appello di Palermo condanna i colpevoli dell’omicidio del carabiniere Emanuele Basile: sono quattro boss di prima grandezza come Totò Riina, Michele Greco, Francesco e Giuseppe Madonia. A nulla sono valsi i tentativi di condizionare i giudici di quel processo: dopo mezzo secolo di efficienza, la macchina dell’impunità mafiosa si è inceppata. E il capo dei capi è imbufalito. Tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992 Riina riunisce tutti i suoi generali e ordina: “È il momento di pulirsi i piedi, dobbiamo toglierci i sassolini dalle scarpe”. Vuol dire che devono morire i magistrati ma pure i politici incapaci di aggiustare le sentenze. Lo Stato ha deciso di fare guerra alla mafia creando la Superprocura? E Riina risponde creando la “Supercosa”: sono uomini scelti, fedeli soltanto a lui, incaricati di missioni delicate e segretissime. È per questo motivo che quel giorno Messina Denaro incontra Graviano alla fontana di Trevi. Il primo lo chiamano ‘u siccu, perché è magro, ma lui preferisce essere chiamato Diabolik, come il personaggio dei fumetti di cui è appassionato. Al secondo, invece, i più fedeli si rivolgono con un soprannome suggestivo: Madre natura. Da alcuni anni i due sono inseparabili: gli altri mafiosi dicono che sono come “il secchio e la corda”. Hanno quasi la stessa età, le stesse passioni per le belle donne, le armi e il lusso sfrenato, la stessa diabolica e ferocissima intelligenza criminale. Matteo è un enfant prodige, rampollo d una famiglia di antica tradizione mafiosa e figlio di un vecchio amico di Riina. Lo zio Totò su quel giovane ha puntato parecchio: lo ha allevato personalmente per farne il suo erede al vertice della Cupola. “Questo ragazzo suo padre l’aveva affidato a me, perché era uno dritto, gli ho fatto scuola io”, racconterà anni dopo Riina. Alla corte del capo dei capi, Matteo è riuscito a sdoganare anche l’amico Giuseppe, rampollo di una famiglia di mafia che ha fatto i miliardi, ma che ha un difetto: viene da Bracaccio, un mandamento di Palermo storicamente problematico per i corleonesi. Diabolik ha garantito per Madre natura e lo zio Totò si è fidato. Infatti inserisce pure Graviano nella “Supercosa”, inviata a Roma in gran segreto. Gli obiettivi di quella missione sono di alto livello: individuare, pedinare e uccidere Falcone, Maurizio Costanzo e Claudio Martelli. È il prologo delle stragi, ed è lì che bisogna tornare per cercare di capire chi è davvero Messina Denaro. Chi è stato, che cosa è diventato, come è riuscito a diventare un fantasma. Il fantasma della Repubblica. Anzi, per essere precisi, della Seconda Repubblica.

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