Sono passati due anni dalla storica manifestazione antimafia del 10 gennaio 2020, quando ventimila foggiani scesero in piazza per dire “no” alla violenza e al potere dei clan. Al loro fianco, insieme a Libera e alle altre associazioni, sfilarono anche i sindacati di polizia. Quel corteo, così carico di impegno civico e di speranza, avrebbe potuto essere davvero la premessa per una “primavera dauna”. Bisogna constatare che da allora qualcosa si è mosso – penso all’istituzione della Direzione Investigativa Antimafia di Foggia – ma siamo ancora lontani da una svolta soddisfacente in termini di attenzione della politica per un territorio troppo a lungo trascurato.

Il 2022 si è concluso del resto con l’ennesimo grido d’allarme del Procuratore della Repubblica, Ludovico Vaccaro, che in un’intervista rilasciata a il Fatto Quotidiano è tornato sul problema della inadeguatezza della macchina giudiziaria e sui danni prodotti dalla soppressione del Tribunale di Lucera e delle sei sezioni distaccate.

Nel 2013, nella Capitanata si passò da otto uffici giudiziari a uno solo, con la naturale conseguenza che la Procura e il Tribunale di Foggia sono da allora costantemente in affanno. “Sono arrivato come Procuratore a Foggia nel 2018 – racconta Vaccaro – e c’erano ben 9mila processi pendenti, oggi siamo addirittura a 13mila”. È facile comprendere che questo ‘ingolfamento’ ha avuto gravissime ripercussioni.

Subiamo oggi il risultato della “desertificazione giudiziaria” di un’area geografica – con più di 700mila abitanti – che, oltre a essere caratterizzata dalla presenza della mafia più feroce d’Italia, è da sempre teatro di odiosi delitti predatori (furti di autovetture, assalti ai portavalori, ecc.). Come si può pensare allora che ci possa essere una risposta adeguata alla domanda di giustizia dei cittadini? La frequente mancata punizione dei reati è senza dubbio tossica, perché genera nella popolazione sconforto, rassegnazione, paura e quindi sfiducia nello Stato. Come si può poi pretendere collaborazione con la giustizia da chi non crede più nella giustizia?

In condizioni di questo tipo, i foggiani non possono che percepire la lontananza delle istituzioni e sentirsi abbandonati. Davide Mattiello sostiene, a ragione, che la situazione della provincia di Foggia mostra uno Stato che ha fallito la missione ‘giustizia’. La “promessa costituzionale” della ‘legge uguale per tutti’ è infatti sideralmente distante da una realtà nella quale vengono troppo spesso frustrate le aspettative di giustizia delle persone offese. Siamo così di fronte a un problema di qualità della nostra democrazia, che appare sì proceduralmente impeccabile, ma si rivela sempre più debole dal punto di vista del legame emotivo tra potere pubblico e cittadini.

Alla marcia di Foggia c’era anche Luciano Silvestri, responsabile nazionale Legalità e Sicurezza della Cgil. Lo sento per telefono e non mi nasconde la sua insoddisfazione: “Ha ragione il Procuratore Vaccaro – mi dice – nella sua analisi dei fatti. I presidi di legalità sul territorio vanno rafforzati e non smantellati. Lo Stato deve comprendere che le mafie esercitano il loro potere attraverso il controllo sociale ed economico del territorio e che a quel potere occorre contrapporre un controllo sociale democratico e legale. E tutto questo – conclude Silvestri – si realizza solo con una unità fra i presidi di legalità istituzionali e i cittadini con le loro associazioni. Solo attraverso questo sodalizio virtuoso si può vincere questa sfida”.

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