L’ultimo morto ammazzato aveva solo 21 anni. Il suo killer appena 17: gli ha scaricato addosso quasi quattro colpi di pistola per una contorta vicenda legata di piccoli furti e una richiesta estorsiva. Quello di Nicola Di Rienzo è stato solo l’ultimo dei 15 omicidi contati nella provincia pugliese dove opera la mafia più feroce d’Italia dichiarata dall’ex procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero De Raho, il “nemico numero uno dello Stato”. Eppure nonostante il lavoro insistente di forze di polizia e magistrati, nel Foggiano qualcosa ancora non torna. Più di un agguato mortale al mese, sei comuni sciolti per infiltrazioni negli ultimi cinque anni, le bombe agli imprenditori che non pagano il pizzo, una gioventù cattiva che genera violente baby gang. La ‘guerra’ però ancora non è vinta. E tra processi pendenti e penuria di pubblici ministeri, come spiega a Ilfattoquotidiano.it il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro, le difficoltà non mancano.

Un territorio più grande della Liguria che prevede sulla carta quasi lo stesso numero di magistrati di una grande procura come quella di Bologna, ma vive una condizione di grave sofferenza. Come mai?
Foggia è stata estremamente penalizzata con la riforma della geografia giudiziaria del 2013. Partiamo di qui: c’erano una serie di presidi giudiziari che sono stati chiusi. Non solo la procura e il tribunale di Lucera, ma ben sei sezioni distaccate sono state cancellate. E tra queste anche le sedi di Cerignola e Manfredonia, due comuni con quasi 60mila abitanti che sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose. E poi San Severo che ospita una criminalità attiva e aggressiva. E ancora Apricena, Rodi Garganico, Trinitapoli: la chiusura di tutte queste sedi ha comportato il trasferimento al tribunale di Foggia di tutti i processi. Sono arrivato come procuratore a Foggia nel 2018 e c’erano ben 9mila processi pendenti, oggi siamo addirittura a 13mila.

Un unico presidio giudiziario in una terra sconfinata, quindi?
Esatto e bisogna comprendere che questo ha un riflesso anche sulla percezione della vicinanza dello Stato da parte della popolazione. Noi non siamo solo fisicamente lontani dalla gente, ma la gente ci percepisce in questo modo. Chiediamo collaborazione, denunce, testimonianze, ma siamo lontani. I cittadini sentono la bomba che esplode sotto casa, sentono i vetri delle loro finestre che tremano ma la procura e il tribunale sono distanti. Per otto anni sono stato giudice al tribunale di Foggia: facevamo tre anche quattro udienze a settimana, oggi un giudice non riesce a farne più di due perché non ci sono le aule. Quindi non solo la desertificazione giudiziaria, ma anche un ingolfamento che ha conseguenze terribili.

Eppure in Italia ci sono sedi giudiziarie attive in zone molto meno complicate di Foggia.
Il vicino Molise, con un’estensione di poco più di 4mila chilometri quadrati, ha tre procure e tre tribunali. Foggia ha un’estensione doppia, con competenze anche in alcuni comuni della provincia della Bat (Barletta-Andria-Trani, ndr) per una platea di oltre 700mila abitanti, e ha una sola procura e un solo tribunale. Io sono stato procuratore di Larino, che non arriva a 100mila abitanti. Se teniamo giustamente aperte queste sedi, perché non le apriamo anche a Cerignola e Manfredonia, comuni ben più grandi e con una criminalità agguerrita e mafiosa? Ripeto, parliamo di comuni sciolti per mafia. Esiste quindi un’urgenza di presidi giudiziari sul territorio.

Foggia non è neppure sede di una Distrettuale. Quindi Tribunale del Riesame, Corte d’appello, Tribunale e Procura dei Minorenni sono a Bari.
Questo è un punto cruciale. Fortunatamente con la Direzione distrettuale Antimafia di Bari, competente su questo territorio, abbiamo una collaborazione stretta e quindi riusciamo a supplire alla distanza, ma il problema dei minori è delicato. Un minore, prima di diventare un delinquente, è un minore che vive nel disagio, poi nell’illegalità e infine nella criminalità. Ecco un minorenne di Vieste ha il suo giudice a Bari, a quasi tre ore di auto. Lo immagina un minore di Roma che ha il suo giudice a Bologna? Perché ci si mette di meno da Roma a Bologna che non da Vieste a Bari. Ecco è un problema non solo di conoscenza capillare del territorio ma, come dicevo prima, anche di percezione di vicinanza degli uffici giudiziari. E qui abbiamo fenomeni di delinquenza minorile molto forti. Di tutti gli omicidi che ci sono stati quest’anno più di uno è stato commesso da minorenni. Avere maggiori presidi giudiziari significa essere più vicini alla popolazione e quindi anche ai minori.

Anche da un punto di vista amministrativo le cose sono complicate?
Certo, non abbiamo nemmeno il Tar e, ripeto, qui abbiamo sei comuni sciolti per mafia. Se un territorio è compromesso da un punto di vista penale certamente lo sarà anche da un punto di vista amministrativo. Non so se c’è un’altra provincia in Italia che ha sei comuni sciolti per infiltrazioni mafiose e tra questi il comune capoluogo. Anzi ne sono certo. Non credo che esista una situazione in cui, in questa situazione di degrado culturale, sociale ed economico, ci sia una sola procura e un solo tribunale.

Però va detto che anche i magistrati non sembrano desiderosi di lavorare a Foggia: per i posti liberi in procura non ci sono richieste. Perché?
Il Consiglio superiore della magistratura ha sempre pubblicato i posti vacanti, ma tali restano. Fino a poco tempo fa avevo una scopertura organica in procura di otto magistrati. Sono recentemente arrivate tre giovani colleghe, ma ho ancora cinque magistrati in meno. E poi c’è da tenere presente che arrivano solo colleghi di prima nomina che, dopo aver fatto il periodo previsto, cercano di tornare alle loro terre d’origine. A Foggia non ci vuole venire nessuno. Un po’ per il grosso carico di lavoro e poi certamente per tante situazioni di carattere ambientale. Anche per i magistrati di prima nomina Foggia non è tra le prime scelte.

Eppure professionalmente non dovrebbe essere una meta ambita?
Non c’è dubbio: questo è l’ufficio giudiziario in cui si può fare la migliore esperienza possibile. Qualche tempo fa, un collega di nuova nomina, mi diceva che nessuno dei suoi compagni di corso aveva trattato due omicidi volontari.

Altri motivi per cui un suo collega dovrebbe scegliere Foggia?
Come dicono le statistiche, la città ha certamente una qualità della vita bassa ma ha una provincia con il Gargano e le sue zone costiere che sono bellissime. E poi dal punto di vista dal punto di vista professionale, se io fossi un giovane magistrato chiederei di venire a Foggia perché è un’esperienza assolutamente entusiasmante e offre una ricchezza lavorativa impareggiabile. Qui si trattano tutti i reati e c’è un bel clima di collaborazione, quello che nasce sempre in tutti i territori di frontiera.

Vi siete mai sentiti come la Palermo degli Anni settanta e ottanta?
Sì, da questo punto di vista sì. C’è a Foggia quell’arretratezza culturale che forse c’era a Palermo in quegli anni: la gente non denuncia, collabora poco e solo quando non ha alternative. Non sentono l’esigenza di collaborare con lo Stato. Non si avverte la giustizia come strumento per lavorare al bene comune. Quello che accade al commerciante o all’imprenditore accanto non viene percepito come un’aggressione anche a sé. Persino le vittime non collaborano, ma cercano di trovare da loro il modo di uscire da quel guaio. Le faccio un esempio.

Prego.
Una volta un uomo si è presentato in ospedale con una ferita alla gamba, niente di grave. Gli è stato assegnato un codice verde ed era in attesa di essere visitato, quando è arrivato il suo turno il medico si è accorto che era una ferita di arma da fuoco ma quell’uomo si era bene guardato dal dire quanto era accaduto.

In questi anni avete messo a segno tanti risultati contro la mafia e la delinquenza. Perché le cose non cambiano?
Me lo chiedo spesso e mi dico che è davvero anche per la distanza dello Stato. Se un imprenditore di Cerignola denuncia, il resto della comunità non segue il processo. Un processo che la riguarda. Qualche tempo fa c’è stato un grosso dibattimento, chiamato ‘Medioevo’: i poveri commercianti che avevano denunciato dovevano organizzare i pullman per venire alle udienze, a volte arrivavano e il processo veniva rinviato per motivi tecnici. Un cambio di giudice, un’omessa notifica e dovevano tornare indietro. Così si ha una sensazione di fallimento della giustizia che porta poi a dire: “Ho fatto male a denunciare e aveva ragione chi mi diceva di lasciar perdere”.

E delle proposte del ministro della Giustizia Carlo Nordio che ne pensa?
Sulle intercettazioni? Sono d’accordo col ministro per tutelare al massimo la riservatezza di chi viene intercettato, perché è innegabile che le intercettazioni siano uno strumento invasivo. Per quanto riguarda le intercettazioni come strumento investigativo, invece, non credo che se ne abusi: ci sono presupposti stringenti per chiederle e poi c’è sempre il vaglio di un giudice. Si dice che le procure abusino delle intercettazioni, ma in realtà ogni richiesta di intercettazione viene valutata e avallata da un giudice. Assicuro che non mancano le volte in cui le richieste vengano rigettate. E poi bisogna tenere conto dei territori e delle realtà.

In che senso?
Quando ero procuratore di Larino ne facevo pochissime perché non erano necessarie, ma qui a Foggia ne faccio chiaramente molte di più. Ritorno alla storia dell’uomo ferito che nemmeno ai medici aveva detto di essere stato sparato: ecco, in quel caso come ricerco la verità se non attraverso le intercettazioni? In un contesto come questo, se anche nelle vittime viene meno la collaborazione, un magistrato che alternative ha? Purtroppo noi dobbiamo intercettarlo, anche se è la vittima. In un’altra città, anche il furto di una biciletta genera una reazione sociale, qui invece a volte non abbiamo alternative: l’intercettazione diventa l’unico mezzo di ricerca della prova. Va distinto l’utilizzabilità dello strumento e la sua conoscibilità e diffusione.

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