La vicenda ormai paradossale del superbonus edilizio del 110% si arricchisce di un altro capitolo. Questa volta è la Melonieconomics a lasciare il segno. Il superbonus è un caso notevole di follia finanziaria. Un bonus fiscale sulle ristrutturazioni edilizie esisteva già, al 50% delle spese sostenute, ma evidentemente non è stato ritenuto sufficiente e nel 2020 si è passati ad uno sconto superiore alla spesa con conseguenze abbastanza immaginabili sulla finanza pubblica, ma visibili soprattutto nel settore edilizio in cui i prezzi sono impazziti.

Per chiudere questo episodio di cattiva gestione finanziaria, il governo Draghi aveva previsto un percorso di graduale rientro già dal 2023 eliminando la possibilità di utilizzare la detrazione per le case singole e con una percentuale di sconto che passava per i condomini al 70% nel 2024, e poi diminuiva ulteriormente al 65%, rientrando nella normalità. Ora è intervenuta la premier Meloni con il decreto legge del 10 novembre che riduce, già dal 2023, lo sconto fiscale per i condomini al 90%, ma riammette i proprietari di abitazioni singole con un basso reddito, 15.000 euro di Isee. A distanza di pochi mesi la normativa è cambiata ancora e in peggio per quasi tutti i potenziali beneficiari, con un decreto legge di cui non si intuisce la necessità e l’urgenza.

La ragione di questa scelta post-elettorale, improvvisa e drastica, l’ha spiegata la stessa Presidente del Consiglio. Improvvisamente si è accorta che il superbonus ha creato un buco di 38 miliardi nelle casse dello Stato. Si trattava di correre velocemente al riparo. I numeri della premier sono corretti? Sì e no e derivano da una lettura molto superficiale e fuorviante ad arte. Appena qualche mese fa un rapporto dell’Ance, la società italiana dei costruttori, stimava più correttamente un esborso netto di 6,6 miliardi tenendo conto del Pnrr e delle entrate generate. Sempre un disavanzo, ma molto minore.

Sventolando alla stampa la minaccia del buco di bilancio, la premier ha inteso giocare con il panico finanziario degli italiani secondo la solita strategia della destra italiana di suscitare paure immaginarie. Anche perché con il nuovo intervento il famoso buco non verrà per nulla tamponato con misure idonee. La riduzione per i condomìni è controbilanciata dalla reintroduzione dello sconto per le villette. Quindi alla mancanza di competenza economica, si unisce anche una volontà demagogica palesemente maldestra.

Cambiare le regole in corsa è un brutto vizio dei politici italiani, ancor più ingiustificabile quando si tratta di spostare, senza preavviso, decine di miliardi. In una settimana i condòmini hanno perso una somma tra i 20.000 e i 30.000 euro. Non male come manovra per un leader populista. Si tratta di un notevole caso di premier responsabile a posteriori, cioè quando il risultato elettorale è stato incassato.

Anche il ministro dell’Economia fa una magra figura in questa vicenda per mancanza di coraggio. Giancarlo Giorgetti si è preso la soddisfazione di dire qualcosa contro il superbonus, peraltro approvato dalla Lega di Matteo Salvini. Ha dichiarato infatti che sbagliano coloro che considerano il bonus come moneta contante. Ha chiarito poi che la cessione del credito è una possibilità non un obbligo. Qui il ministro tocca un tema importante della vicenda. Questo bonus è scandaloso sotto molti aspetti, ma totalmente ingiustificabile sul piano morale è la cessione del credito che, per come è stata prevista, viola una regola fondamentale del fisco italiano.

Chi paga le tasse sa bene che lo Stato restituisce, sotto forma di detrazione, solo un ammontare pari alle tasse versate. Se l’Irpef pagata è inferiore alle spese sostenute, la differenza non viene rimborsata. Principio più pratico che teorico, che serve a scongiurare pratiche illecite come false dichiarazioni, fatturazioni fasulle e così via. Questa regola non è stata rispettata nel caso del superbonus edilizio, che, guarda caso, ha originato la più grande truffa allo Stato italiano, come si è espresso l’allora ministro Daniele Franco.

Oltre all’ingiusto trattamento tra cittadini, la conseguenza perversa è stata la creazione di un settore finanziario tossico. Perché tossico? Perché basato semplicemente sullo sfruttamento di una rendita di posizione. La banca che acquista il credito fiscale a 90 euro e lo incassa dallo Stato per 110 fa un profitto del 22% senza alcun rischio e con l’unico costo di gestire una normale pratica burocratica. In finanza il rendimento è associato al rischio, ma non in questo caso. Ecco allora che un ministro più coraggioso di Giorgetti avrebbe potuto dire veramente che la pacchia è finita eliminando la cessione del credito che così tanti problemi ha creato, di entrate e morali.

Cosa dire di questi primi passi della Melonieconomics? Ci si può rifugiare nel giudizio che ha dato l’Europa nel caso dei migranti. Il governo ha dimostrato una assoluta mancanza di professionalità nei confronti di imprese e cittadini per ricercare una visibilità mediata che però costerà cara. Modificando il bonus per decreto legge, la premier ha comunicato al mondo che lei fa quello che vuole in campo economico e nei tempi che vuole, senza tener conto delle esigenze reali dell’economia. Presidenzialismo implicito o arroganza velleitaria che durerà poco? Staremo a vedere.