È ufficialmente iniziata la Cop 27 di Sharm el-Sheikh, in Egitto, alla quale domani parteciperà anche la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, accompagnata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin. La Cop delle contraddizioni a cui, fino al 18 novembre, parteciperanno duecento delegati provenienti da altrettanti Paesi. Due gli obiettivi principali: quello di limitare riscaldamento globale a 1,5°C (impresa che ad oggi nessuno può garantire e, anno dopo anno, è sempre meno a portata di mano) e rispondere ai bisogni delle comunità che già oggi subiscono impatti molto gravi, sia in termini di finanziamenti per interventi di mitigazione e di adattamento, sia con una struttura finanziaria ad hoc per le perdite e i danni causati dai cambiamenti climatici. Sul secondo obiettivo, in questo particolare momento storico, si ripongono le maggiori speranze. Di fatto, in apertura della Conferenza Onu, l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il rapporto ‘Stato del clima globale nel 2022’, spiegando che gli ultimi 8 anni sono stati i più caldi fra quelli registrati finora, e che l’aumento della temperatura media, che nel 2022 è di circa 1,15 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali, è a sua volta dovuto a quello delle concentrazioni dei principali gas serra nell’atmosfera (anidride carbonica, metano, diossido di azoto) a livelli record nel 2021 e in continua crescita. Della loro riduzione, però, alla Cop 27 che registra il ritorno del Brasile dopo l’era Bolsonaro, si dovrà discutere in assenza del presidente della Russia, Vladimir Putin, del presidente cinese Xi Jinping e anche del primo ministro dell’India Narendra Modi, i Paesi con i target meno ambiziosi per le emissioni nette zero, fissate al 2060 per i primi due e al 2070 per l’India e tra i maggiori emettitori. Sul fronte della CO2 la Cina è attualmente prima, responsabile di quasi il 33% delle emissioni, mentre India e Russia sono quarta e quinta della lista.

Loss&damage al centro della discussione – Per quanto riguarda, invece, il secondo obiettivo, il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry, che presiede i lavori della Conferenza, ha dichiarato nel suo discorso che dopo 48 ore di intensi negoziati è stato raggiunto un accordo per dare il via a negoziati sui finanziamenti per coprire i danni provocati da eventi meteorologici straordinari. Insomma, il cosiddetto ‘loss&damage’ di cui si discuterà ufficialmente per la prima volta, con l’obiettivo di arrivare a una decisione finale “non oltre il 2024”. Questa la ragione per cui l’avvio ufficiale del vertice è slittato di oltre un’ora, evitando però tensioni, già durante i primi momenti della conferenza. Una buona notizia? Dipenderà non solo dal rispetto di questo termine ma, naturalmente, anche dal contenuto stesso della decisione finale che i Paesi più vulnerabili aspettano ormai da troppo tempo, dato che richiesta risale ai primi anni Novanta. Risale alla Cop15 di Copenaghen, nel 2009, l’impegno dei Paesi sviluppati di mobilitare collettivamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 da fonti sia pubbliche che private. Impegno mai rispettato. Secondo i dati Ocse, si è arrivati a un massimo di 83,3 miliardi nel 2020. E con quelli ogni anno si fa fronte anche alle perdite e ai danni dovuti al cambiamento climatico causato dai Paesi ricchi. Tutti pezzi del puzzle della finanza climatica su cui, la storia insegna, è più facile fare annunci che rispettare gli impegni. Una delle sfide di questi giorni sarà proprio quella di distinguere eventuali passi in avanti con i proclami dei vari Paesi. E questo vale anche per l’Egitto che ospita la Cop e dove in poco più di un decennio sono state costruite più di venti prigioni (dove si trovano anche attivisti ambientali) e dove c’è uno stretto controllo sul governo sulle informazioni da fornire, anche ai delegati in vista della Cop.

La denuncia di Human Rights Watch – D’altronde, già settimane prima dell’inizio della Cop, sono venute alla luce vicende poco chiare. E in queste ore Human Rights Watch (Hrw) denuncia come decine di persone siano state arrestate in Egitto perché volevano manifestare in occasione del vertice, mentre le autorità hanno collocato una serie di telecamere con l’obiettivo di limitare la protesta. Secondo il vicedirettore di Hrw per il Medio Oriente e il Nord Africa, Adam Coogle, “è chiaro che il governo egiziano” guidato dal presidente Abdel Fattah al-Sisi “non ha intenzione di allentare le misure di sicurezza o di consentire le libertà di espressione o di riunione”. Tra gli arresti, quello dell’attivista indiano contro il cambiamento climatico Ajit Rajagopal, mentre si preparava a compiere una marcia di otto giorni dal Cairo a Sharm el Sheikh. Rajagopal è stato rilasciato il giorno successivo a seguito delle critiche internazionali. Il governatore della provincia del Sinai del Sud, Khaled Fouda, ha avvertito che le forze di sicurezza consentiranno concentrazioni solo in aree designate, lontane dal vertice. “Chiunque non sia registrato non potrà entrare”, ha dichiarato al canale televisivo Sada al-Balad. Non solo. Hrw ricorda che il governo egiziano richiede a tutti i partecipanti di scaricare un’applicazione che raccolga informazioni personali e richieda l’accesso alla telecamera, al microfono e al servizio di localizzazione mobile. Nel frattempo, in una nota, Luise Amtsberg, Commissaria per i diritti umani del governo tedesco ha ricordato il caso dell’attivista per la democrazia Alaa Abd el-Fattah, in sciopero della fame e del suo avvocato Mohammed al-Baker, entrambi “imprigionati in condizioni talvolta molto difficili”. Tutto questo non sposta l’attenzione sul tema del riscaldamento globale, ma lo riguarda direttamente. Perché senza informazioni e senza le pressioni e le denunce contro le politiche climatiche poco ambiziose (non solo quelle egiziane), si rischia di procedere a passi troppo lenti. Nel frattempo, in questi mesi il Pakistan è finito per un terzo sott’acqua.

Lo Stato del clima globale – “Maggiore il riscaldamento, peggiore l’impatto – ha spiegato il segretario generale dell’Organizzazione meteorologica mondiale, Petteri Taalas, commentando i dati del report sullo stato del clima globale, definito dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres “cronaca del caos climatico”. La siccità nel 2022 ha ridotto alla fame 19 milioni di persone nell’Africa orientale, mentre le alluvioni hanno ucciso 1.700 persone in Pakistan, ma sono 33 milioni le persone colpite, otto delle quali costrette a lasciare i loro villaggi. In Africa orientale, le piogge sono state sotto la media per quattro stagioni consecutive, il periodo più lungo in 40 anni. In Kenya, Somalia ed Etiopia, erano in situazione di crisi alimentare prima di giugno 2022 fra 18,4 e 19,3 milioni di persone. L’Africa meridionale, invece, e in particolare il Madagascar, è stata colpita da una serie di cicloni all’inizio dell’anno. L’uragano Ian, a settembre, ha causato morte e distruzione a Cuba e in Florida, mentre la Cina ha avuto la più estesa e lunga ondata di calore da quando ci sono rilevazioni. In Antartide, il 25 febbraio, è stata registrata la minor estensione dei ghiacci da quando ci sono le rilevazioni: solo 1,92 milioni di chilometri quadrati. Il 2022 ha battuto il record di scioglimento dei ghiacchiai alpini del 2003, con perdite di spessore dai 3 ai 4 metri. Così, il livello medio dei mari è aumentato di circa 3,4 millimetri all’anno nei trent’anni dal 1993 al 2022 e il tasso di aumento è raddoppiato dal 1993 ad oggi. Solo da gennaio 2020 ad agosto 2022, il livello medio dei mari è salito di 10 millimetri. La Wmo ha ricordato che “abbiamo livelli così alti di anidride carbonica nell’atmosfera oggi, che l’obiettivo di 1,5 gradi dell’Accordo di Parigi è a malapena raggiungibile”.

Il monito dell’Oms – Ma il cambiamento climatico porterà anche ad altro. Nel primo giorno di conferenza, lo spiega l’Organizzazione mondiale della sanità: “Si prevede che tra il 2030 e il 2050 il cambiamento climatico provocherà circa 250mila morti in più all’anno per malnutrizione”, malattie come “malaria e diarrea” e “stress da caldo”, mentre si stima che entro il 2030 i costi dei soli danni diretti del climate change alla salute saranno compresi tra 2 e 4 miliardi di dollari l’anno. Il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus spiega che “il cambiamento climatico sta facendo ammalare, o rendendo più vulnerabili ad ammalarsi, milioni di persone in tutto il mondo. Ed eventi meteorologici sempre più distruttivi colpiscono in modo sproporzionato le comunità povere ed emarginate”.

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