Niente permesso premio per Filippo Graviano. Il boss di Brancaccio non ha ottenuto dalla Cassazione il via libera per uscire dal carcere nonostante “la regolare condotta carceraria e il percorso scolastico”: la concessione del beneficio viene esclusa perché la sua dissociazione da Cosa nostra viene considerata solo di facciata e l’aver mantenuto “rapporti con i familiari” tra i quali ci sono parenti “convolti in logiche associative”. Ecco perché la Suprema Corte ha confermato il no al permesso del tribunale di sorveglianza di L’Aquila nei confronti del fratello maggiore di Giuseppe Graviano. In particolare, il verdetto 41329 depositato oggi dalla Prima sezione penale della Cassazione relativo all’udienza dello scorso 6 luglio, ha ritenuto corretta l’ordinanza emessa dai giudici abruzzesi con la quale il 9 febbraio 2022 era stata respinta la richiesta di permesso premio avanzata da Graviano.

La richiesta del permesso premio – Condannato all’ergastolo come mandante per le stragi del ’92 e del ’93 e per l’uccisione del sacerdote don Pino Puglisi, recluso dal 1994 in regime “differenziato”, Graviano aveva chiesto un permesso premio nel febbraio del 2021 sostenendo di essersi dissociato da Cosa nostra. Una richiesta che aveva fatto scalpore non solo per il rango del detenuto ma soprattutto perché rappresentava evidentemente un tassello di una complessa e organizzata strategia che è punta a scardinare il 41bis e il concetto stesso di fine pena mai. Una strategia che va avanti da anni. La richiesta di Graviano era arrivata dopo che nel 2019 la Cedu e poi la Consulta avevano definito illegittimo l’articolo 4 bis, comma 1 dell’Ordinamento penitenziario. Una legge ideata personalmente da Giovanni Falcone nel 1991: è il cosiddetto ergastolo ostativo ed è una preclusione prevista per tutti i detenuti al carcere a vita condannati per fatti di mafia e terrorismo. Se non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia non possono accedere a permessi premio e altri benefici. Successivamente la Consulta era andata oltre considerando incostituzionale l’intera norma sull’ergastolo ostativo, chiedendo al Parlamento di legiferare per modificare la norma in modo da evitare la concessione della libertà vigilata ai boss delle stragi che non collaborano, come appunto sono i Graviano. Una situazione alla quale è stata messa una pezza due giorni fa dal governo con un decreto legge che punta a riempire il vuoto normativo in attesa che il Parlamento approvi una nuova norma che riscriva l’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario.

La richiesta della difesa: “Graviano si è dissociato” – Su Filippo Graviano il provvedimento del tribunale aveva confermato che “il detenuto aveva sottoscritto una dichiarazione di dissociazione, cui non aveva fatto seguito una collaborazione con gli inquirenti” inoltre Graviano “aveva mantenuto i rapporti con i familiari, tra i quali vi erano anche soggetti pure coinvolti in logiche associative“. Contro questa decisione, la difesa ha fatto ricorso in Cassazione denunciando la violazione dell’articolo 30ter dell’ordinamento penitenziario che regola la concessione dei permessi premio. “Il detenuto – ha sostenuto il difensore – aveva reso dichiarazione incondizionata di dissociazione ed aveva accettato il confronto con il pentito Spatuzza, che ne aveva riconosciuto l’estraneità a fatti di sangue; non era stato coinvolto in una recente indagine avente ad oggetto il mandamento mafioso di Brancaccio, già di riferimento” del Graviano. Inoltre, “la condotta in carcere era sempre stata regolare, tanto che era stata riconosciuta la liberazione anticipata, e di partecipazione al trattamento, come desumibile dal percorso scolastico giunto sino al conseguimento, con il massimo dei voti, della laurea magistrale” e poi “la sottoposizione al regime differenziato non è incompatibile con l’ammissione all’esperienza premiale”.

Le motivazioni della Cassazione – Ad avviso della Suprema corte, invece, “l’istituto dei permessi premio costituisce elemento del trattamento penitenziario e quindi va riconosciuto previa valutazione dell’andamento complessivo del percorso riabilitativo e, dunque, se risulta, in relazione ai progressi compiuti e alle prospettive, idoneo a contribuire al conseguimento dell’obiettivo rieducativo”. Tuttavia, nel caso di Graviano, secondo i supremi giudici, il Tribunale di sorveglianza “ha dato conto della valutazione negativa compiuta, giustificandola con motivazione in questa sede non censurabile”. Che tipo di motivazione? “La considerazione dei gravissimi reati commessi è stata unita al rilievo che non ne era seguita una effettiva presa di distanza ed anzi – scrive la Cassazione – erano stati mantenuti i contatti con i familiari pure già coinvolti nel medesimo contesto di criminalità organizzata“. Per questo la Suprema corte conclude: “Dati che, letti alla luce della carente rivisitazione critica dei gravissimi reati commessi, non hanno consentito di valorizzare la pur regolare condotta carceraria e il percorso scolastico”.

Articolo Precedente

Mafia dei pascoli, 91 condanne e oltre 6 secoli di carcere al maxiprocesso dei Nebrodi per le truffe ai danni dell’Unione europea

next
Articolo Successivo

Foggia, ucciso il nipote del boss Tolonese: l’agguato in strada mentre festeggiava il compleanno

next