Per la quinta volta in quattro anni gli israeliani sono chiamati alle urne. Alcune cose sono cambiate rispetto al voto di quattro anni fa ma una serie di questioni sono rimaste del tutto centrali. A partire dalla principale, cioè il destino di Benjamin Netanyahu: estromesso dall’esecutivo nelle ultime elezioni, dopo le quali il duo Lapid-Bennet era riuscito a formare un traballante governo, accomunato unicamente dall’ostilità verso l’ex primo ministro, Bibi rimane in un certo senso il “dossier” principale dello Stato ebraico, nonché uno dei principali elementi di polarizzazione del paese, che sembra sempre più diviso tra suoi accesi sostenitori e suoi accesi oppositori, tra chi lo ritiene l’unica personalità che può guidare il paese in questa congiuntura delicata, e chi in lui vede dei rischi per la tenuta dello Stato.

Netanyahu ha condotto questa campagna mentre su di lui pende sempre un procedimento per corruzione e frode. Se il suo blocco dovesse ottenere i 61 seggi necessari, non è escluso che vengano messi in moto procedimenti legislativi volti a sospendere il processo a suo carico, che in ogni caso produrrà un verdetto non prima di un anno. Questo anche perché gli alleati più estremisti di Bibi, come Itamar Ben Gvir, hanno annunciato più volte di voler proporre delle leggi con cui sarebbe più difficile mettere sotto accusa i parlamentari.

L’alleato di Netanyahu Ben Gvir – kahanista della prima ora – ha anche proposto di depenalizzare la frode, è in prima linea nella difesa degli insediamenti coloniali illegali nella West Bank, ha più volte proposto la cacciata degli arabi che considera “traditori”, esaltato lo stragista Baruch Goldstein e, ai tempi dell’assassinio di Rabin, partecipato stabilmente alle manifestazioni per il rilascio dell’autore dello stesso. I suoi più accesi detrattori non si dimenticano delle sue apparizioni durante le manifestazioni di protesta contro il compianto primo ministro, poco prima che venisse ucciso, nelle quali una volta brandì un pezzo dell’automobile dello stesso Rabin, agitando un banner con scritto “siamo arrivati alla tua macchina, arriveremo anche a te” (sebbene non abbia nessun collegamento con l’omicida, Yigal Amir). Se Ben Gvir ed il suo Otzma Yehudit dovessero ottenere ottimi risultati, rafforzando la maggioranza di Netanyahu, non è escluso che quest’ultimo possa affidargli il ministero della Pubblica sicurezza.

Dall’altro lato, come ricorda il giornalista Barak Ravid, il primo ministro in carica Yair Lapid – che ha appena firmato un accordo sulla spartizione dei giacimenti marittimi col Libano, con cui Israele è ancora formalmente in stato di guerra – non ha tecnicamente bisogno di vincere le elezioni per rimanere al suo posto, perlomeno nel breve termine: sarebbe sufficiente che Yesh Atid si confermasse secondo partito più votato, e che impedisse alla coalizione di Netanyahu di ottenere i 61 seggi, scenario che prolungherebbe il mandato di Lapid fino ad una nuova tornata elettorale. Uno degli obiettivi di Lapid è quello di innalzare l’affluenza al voto della componente araba, che secondo le stime sarà la più bassa da molti anni a questa parte, a circa il 40%. Percentuale che aumenterebbe le possibilità di vittoria di Netanyahu.

Il ruolo dei giovani e dei russofoni – Le dinamiche demografiche hanno sempre una certa importanza in questo quadrante del mondo, ed in particolare in Israele. Come ricorda Lily Galili, due gruppi socio-generazionali avranno un ruolo decisivo in queste elezioni: coloro che voteranno per la prima volta e i giovani russofoni. Secondo il Comitato elettorale centrale, tra l’ultimo voto di marzo 2021 e questa tornata andranno alle urne per la prima volta 209mila cittadini, di cui 165mila ebrei. Fra loro ci sono anche migliaia di soldati di leva e gli ortodossi che si rifiutano di fare il servizio militare. In larga parte ultra conservatori e oltranzisti, anche loro rischiano di rinfoltire i voti per il blocco del Likud.

Secondo le stime di Midgam, che ha esaminato i modelli di voto degli elettori con età compresa tra i 18 e i 25 anni, per capire come si strutturerebbe l’arena politica se questa fascia d’età fosse l’unica a votare, il blocco di Netanyahu otterrebbe almeno 71 seggi. Il 46% dei rispondenti a sondaggi di Midgam sull’orientamento elettorale ha affermato di sentirsi di “destra”, il 16% di “centro destra” e solo il 10% di sinistra, oggi sostanzialmente rappresentata da Meretz, che rischia però concretamente di non raggiungere la soglia di sbarramento. Ci sarebbero poi circa 100 mila elettori, soprattutto giovani, che figurano ancora tra gli indecisi, e la cui preferenza potrebbe andare nel più moderato dei casi a Benny Gantz – che sta cercando di aprirsi un varco negli ambienti del centro destra, contro Netanyahu -, oppure, nel più estremo, proprio a Ben Gvir.

La questione del voto russofono è persino più complessa, poiché i quindici seggi espressi da questa comunità possono avere un ruolo decisivo. I due politici più “sensibili” alle loro istanze sono lo stesso Netanyahu e ovviamente Avigdor Liebermann, ma entrambi sembrano non considerare una dinamica di ricambio generazionale in seno alla comunità: perché ai circa 720mila elettori russofoni nati nell’Unione sovietica, si aggiungono circa 310mila elettori russofoni nati in Israele, figli dei primi, e con preferenze potenzialmente molto diverse, più stimolate da questioni di sicurezza nazionale che non da quelle settarie.

Secondo un sondaggio per One Million Lobby, una associazione di israeliani russofoni, il Likud ed Yisrael Beiteinu – il partito di Liebermann – otterrebbero 5 seggi ciascuno dalla comunità, mentre Yair Lapid tre o quattro. Liebermann verrebbe votato dal 30% degli elettori di prima generazione ma solo dal 13% dei russofoni nati in Israele. Sorprende invece la componente del sionismo religioso; cioè la destra più radicale, in parte collegabile anche allo stesso Ben Gvir: solo il 5% degli israeliani nati in Unione Sovietica lo voterebbe ma ben il 13% dei giovani elettori.

Ciò implicherebbe un fatto notevole: un terzo degli elettori provenienti dall’Unione sovietica e dei loro figli non sono nemmeno considerati ebrei dalla legge rabbinica: eppure, molti di loro, soprattutto tra i giovani, sembrano orientati a subordinare i loro interessi personali e “comunitari” a quello che percepiscono come “l’interesse nazionale”. Che oggi, in Israele, molto spesso viene identificato con le istanze, le posture e i toni dei partiti dell’estrema destra religiosa.

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