Nelle scuole cresce una generazione destinata a spazzare via la politica pavida e avida che non sa fare antimafia perché ha paura della libertà. I segni di questo fermento culturale sono tanti, ne voglio pescare uno che, credo, piacerebbe assai a Libero Grassi.

C’è un’agenda scolastica, destinata in particolare a ragazzi e ragazzi di elementari e medie, che in occasione del trentennale delle stragi palermitane si è vestita con le parole della memoria e della legalità, si chiama Smarty. Un vero e proprio abbecedario antimafioso, con box dedicati ai fatti storici, quiz che sollecitano la conoscenza di quanto è capitato e l’elaborazione di un proprio punto di vista. A un tratto si legge: “Se un compagno di classe ti chiede i soldi che i tuoi genitori ti hanno dato per la merendina, cosa faresti? Ovviamente risponderesti di no! Ma se quel compagno iniziasse a farti dei dispetti, come lo sgambetto? Hai due possibilità: dirlo alla maestra o fare finta di nulla. Ecco, in questo caso saresti complice di un comportamento mafioso!”.

Lapalissiano, no? No! Semplicemente rivoluzionario. Perché, come sanno bene gli adulti, ci sta almeno una terza condotta possibile: con il compagno che ha cominciato a farti i dispetti per avere i tuoi soldi, ti accordi. Magari non glieli dai tutti, ma una parte, però regolarmente e in cambio gli chiedi di passarti il pallone durante le partitelle a calcio, visto che grande e grosso com’è riesce sempre ad arrivare sotto porta.

Chissà se qualche insegnante, traendo spunto da questa pagina di agenda, racconterà ai ragazzi di un presidente del Consiglio che per anni preferì tenersi in casa il “compagno che gli aveva fatto i dispetti”, pagando regolarmente, pur di stare tranquillo e potersi avvalere della sua protezione quando stava “sotto porta”. Chissà se spiegherà a questi ragazzi che per il Codice penale italiano non è reato avere paura, che non è una colpa “fare finta di niente”, che la presunta soggezione psicologica al potere del compagno prepotente è un alibi sufficiente per farti passare dal campo dei complici a quello delle vittime.

Libero Grassi, imprenditore siciliano assassinato nel 1991, avrebbe sottoscritto senz’altro quanto scritto nell’agenda: per Grassi era inconcepibile che in un Paese libero e democratico i cittadini non andassero a denunciare, ma scendessero a patti con la mafia. Quanto coraggio politico ci vuole per affermare in campagna elettorale che Grassi aveva ragione e che chi si accorda e paga commette il reato di favoreggiamento aggravato?

Di certo non possono avere questo coraggio i partiti di destra, avvinghiati come edere all’antenna berlusconiana, così prodiga di frequenze elettorali. Ma fanno fatica anche gli altri che con quella antenna non hanno mai voluto fare i conti fino in fondo, ammettendo implicitamente che con le mafie in Italia si possa pure convivere. Ecco, questa continua ricerca di una presunta compatibilità di sistema, che tenga insieme tutti i pezzi, è proprio ciò che più ha nauseato questa paternalistica sedazione del conflitto è ciò che fa suonare come retorico il ricorso alla parola “libertà”. La libertà, quella cercata da chi è libero non perché imprigionato in rapporti di forza ingiusti, è sempre scatenante, quindi è anche sempre portatrice di conflitto. Conflitto sociale, conflitto politico. Chi vuole con la politica liberare chi non è libero non può rincorrere la compatibilità, non può pensare di non scontentare qualcuno, di riscattare “questo” ma anche “quello”.

I discepoli del “ma anche” riflettano sulla storia di Pio La Torre, parlamentare, dirigente comunista, assassinato giusto quarant’anni fa proprio per la sua radicale scelta di libertà: libertà dalla mafia (di ogni ordine e grado!). A lui si deve la legge che più di ogni altra ha fatto saltare ogni compatibilità di sistema, quella che ha introdotto le confische di prevenzione dei patrimoni di origine mafiosa, quella che ha introdotto il reato di associazione mafiosa, quella che ha segnato la prima inversione di tendenza nell’accesso al segreto bancario. Norme che fecero infuriare. Norme che La Torre non vide perché lo assassinarono prima. Norme che il governo dell’epoca non avrebbe voluto approvare mai, ma che si rassegnò a far passare soltanto dopo l’assassinio di Dalla Chiesa. La libertà passa di qua, non dal quieto vivere della compatibilità.

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