Non c’è luogo come l’alta montagna dove il cambiamento climatico sia così facile da percepire. E nessun luogo come l’alta montagna ha ospitato e ospiterà cambiamenti tanto profondi della vita individuale e sociale in risposta all’evoluzione del clima. Non soltanto la rapida trasformazione a cui ha assistito la mia generazione, ma anche l’evoluzione storica nell’ultimo millennio offrono letture semplici e affascinanti. Basta frequentare le montagne alpine, andine e himalayane; e leggere il paesaggio con un po’ di curiosità storica. Le montagne che conosco meglio, lo spartiacque delle valli dove scorrono l’Evançon e il Lys, affluenti in sponda sinistra della Dora Baltea, sono tra quelle dove lo scioglimento dei ghiacciai e la perdita di superficie innevata offrono un quadro da manualistica. Le modificazioni che si sono realizzate nel corso secondo millennio sono state profonde e consistenti. Quelle degli ultimi 30 anni sono state altrettanto consistenti, ma si sono realizzate a velocità assai più elevata.

La Krämerthal, valle dei mercanti, veniva erroneamente identificata nella valle di Gressoney (Lys), ma in realtà questo percorso commerciale si sviluppava soprattutto in Val d’Ayas (Evançon), come racconta un bellissimo documentario ideato anni fa da un mio collega. Durante il periodo tardo medioevale di ritiro dei ghiacciai, dal XIII al XVII secolo, la Krämerthal veniva utilizzata per trasportare oltralpe il sale e il meraviglioso picotendro o nebbiolo, padre del più noto barolo, da sempre coltivato nel fondovalle alluvionale di origine glaciale delle Alpi Occidentali. E la via era anche frequentata dai colporteurs, i venditori ambulanti di materiali a stampa che offrivano i libri in una cassetta di legno e, su espositori di fortuna, mostravano al pubblico le immagini delle vicende che raccontavano, aiutandosi con una bacchetta da domatore (Figura 1).

La piccola glaciazione europea mise fine a questa epopea, modificando radicalmente l’economia, l’assetto sociale, il destino della valle. I ghiacciai presero vigore e questo assetto geoclimatico è perdurato fino a metà del secolo scorso, per via dell’ inerzia con cui la piccola glaciazione si è esaurita in alta montagna. Un luogo magico dove l’entità del cambiamento è il vallone delle Cime Bianche, la strada dei mercanti che conduceva al Vallese attraverso il Colle del Teodulo. Se i colporteurs fossero ancora attivi, potremmo nuovamente vederli attraversare le Alpi su quella via (Figura 2).

Le Alpi europee sono una delle regioni della Terra dove i ghiacciai si stanno riducendo maggiormente. Le fluttuazioni storiche sono state enormi (Figura 3) ma mai così rapide. I ghiacciai alpini di riferimento, quelli che vengono costantemente monitorati, hanno perso in media più di 24 metri di spessore tra il 1997 e il 2017. È una perdita assai consistente: 1,2 chilogrammi per metro quadrato. E nel solo 2018 i ghiacciai delle Alpi hanno perso altri 1,5 m di spessore di ghiaccio. “Fa impressione vedere come i ghiacciai, la nostra riserva d’acqua, se ne stiano andando alla velocità della luce e, nonostante non piova da settimane, i fiumi siano in piena (a causa dello scioglimento del ghiaccio, nda). Sul Monte Rosa non c’è un tema di impercorribilità del ghiacciaio, ma se il trend si confermasse o addirittura ci fosse un peggioramento, la salita alla Capanna Regina Margherita diventerebbe uno zig zag tra i crepacci, faticosa e tutto sommato non più così divertente” racconta una giovane guida alpina in una intervista pubblicata su montagna.tv a fine luglio 2022.

Negli ultimi 70 anni, l’economia delle valli alpine è stata alimentata dallo sviluppo enorme dello sci alpino. Le valli, altrimenti destinate a spopolarsi come accaduto altrove, hanno vissuto un nuovo rinascimento, simile all’età d’oro della Krämerthal. Saranno abbastanza resilienti da rispondere alla sfida climatica che sta ostacolando l’ulteriore sviluppo dello sci alpino, anzi ne riduce progressivamente la praticabilità? Le scarse nevicate sul comprensorio sciistico estivo di Zermatt-Cervinia nell’inverno scorso, in combinazione con le alte temperature attuali e le piogge oltre i 4mila metri di quota, hanno sospeso lo sci estivo, così come accaduto sullo Stelvio. Negli ultimi settant’anni il turismo sciistico ha trainato le Alpi, ma bisogna riflettere se e quanto questa tendenza sia destinata a durare in futuro. Va fatto adesso, non in occasione di una futura emergenza.

Nessuno immaginava di vedere lo zero termico salire verso quota 5mila metri, né una siffatta riduzione della nevosità, tranne qualche Cassandra: “Un effetto altrettanto atteso è rappresentato dalla riduzione della percentuale di precipitazioni nevose rispetto al totale delle precipitazioni” (Effetto serra: istruzioni per l’uso, 1994). Il turismo incentrato sullo sci invernale ha monopolizzato il paesaggio e la struttura sociale. Lo sci potrà essere ancora il motore economico e sociale delle Alpi? I comprensori sciistici in grado di garantire il limite della neve sicura si ridurrà in modo considerevole. Alcuni hanno già chiuso, lasciando sul campo relitti di mediocre pregio paesaggistico.

Senza dubbio lo sci alpino può continuare a svolgere un ruolo importante nell’economia delle valli e nella salvaguardia del loro patrimonio umano e sociale. Ma vanno individuate e sviluppate anche altre strade, intraprese finora solo timidamente. La prosperità delle valli alpine può essere garantita solo diversificando la proposta turistica e, più in generale, la dinamica dell’accoglienza. E tutto ruota attorno a due parole che non debbono rimanere slogan vuoti di contenuti: sostenibilità e paesaggio.

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