Da quando contribuisco a questo blog, fine anno 2014, parecchi lettori hanno frequentemente sottolineato nei loro commenti come la crescita della popolazione mondiale sia un fattore chiave. Anzi, la chiave di volta per capire l’ultimo secolo e quello che stiamo faticosamente attraversando. L’enorme aumento delle anime che animano la Terra è certamente associato a molte delle magagne che discutiamo qui. Sono, però, digiuno di demografia e, nello stesso tempo, scettico che il fenomeno si possa davvero governare, poiché risponde solo indirettamente alle scelte politiche globali. Per esempio, il benessere economico riduce il tasso di fertilità, sceso da cinque e più figli per ogni donna (anno 1960) a meno di due e mezzo (anno 2020). Tutto il resto è distopia, come quella che mi accingo a delineare. E chi non ama il genere, può chiudere qui la pagina web.

Molti ritengono che il riscaldamento globale a trazione umana si spieghi, prima di tutto, con la crescita della popolazione (Figura 1).

In effetti, la crescita della CO2 atmosferica registrata negli ultimi 140 anni è strettamente correlata a quella della popolazione. Quando la popolazione raggiunse i due miliardi, nel 1927, il tenore di CO2 nell’aria era poco più di 300 parti per milione (306). Oggi, la Terra ospita 8 miliardi di persone e la CO2 atmosferica si avvicina a quota 420 (Figura 2).

Figura 2

In media, se la popolazione cresce di un punto percentuale, le emissioni di CO2 equivalente aumentano dell’1,3% (Figura 3). Può la Terra ritornare al bel tempo che fu? Per esempio, entro il limite di 300 parti per milione di CO2 nell’aria – una concentrazione, comunque, ben superiore ai 280 dell’età pre-industriale.

Figura 3

Una condizione necessaria potrebbe rivelarsi la decrescita demografica, più o meno felice, fino a ricollocare la popolazione mondiale sui livelli del 1927: due miliardi di individui. Sia ben chiaro: necessaria ma forse insufficiente.

Quota 2 miliardi è davvero un orizzonte possibile? Assolutamente no. Ma tre fattori potrebbero contribuire, invece, con un impatto congiunto e coordinato, a traguardare questa meta per fine secolo, l’Orizzonte 2100: il riscaldamento globale, le pandemie, il nucleare. Sia ben chiaro, siamo nel regno della distopia. Il transitorio dei cambiamenti climatici si avvicina sempre più allo scenario business-as-usual (Figura 4): è lo Scenario Caldo che dipinge il caso peggiore in cui i paesi continuano a bruciare petrolio, gas e carbone senza sosta, in contrasto con un mondo in cui le emissioni siano state drasticamente ridotte e il riscaldamento globale sia reso più moderato.

Lo Scenario RPC 8.5 (Figura 5) è generalmente considerato irrealistico: siamo fiduciosi che i governi del mondo prendano provvedimenti seri e coordinati di riduzione delle emissioni. Questo scenario potrebbe condurre a impatti imprevedibili e catastrofici, ma non basterebbe certo a raggiungere l’obiettivo demografico.

Il rischio di pandemia era già chiaro alla fine del secolo scorso. La crescita di questo rischio è anch’essa legata alla crescita della popolazione, ma la mobilità degli individui, a sua volta cresciuta a grande velocità, gioca il ruolo più importante. La Spagnola di cent’anni fa, che provocò più di 50 milioni di morti su una popolazione poco superiore a un miliardo e mezzo di anime, fu subito archiviata tra le cose da dimenticare alla svelta. La pandemia di Covid-19 ha fatto assai meno vittime, grazie a una migliore risposta dei sistemi sanitari. Usando le stime più recenti del tasso di crescita dell’emergenza di malattie dai serbatoi zoonotici associati ai cambiamenti ambientali, alcuni ricercatori stimano che la probabilità annuale di insorgenza di epidemie estreme può aumentare fino a tre volte nei prossimi decenni (Marani et al., Intensity and frequency of extreme novel epidemics, PNAS, 118, 35). Se la scienza ci mette in guardia, possiamo rispondere a tono. Se, invece, l’umanità risponderà alla sfida pandemica come fece con la Spagnola, saranno disastri. Horizon 2021 Due Miliardi di Terrestri non è, però, un obiettivo verosimile anche in questo caso.

Non fa paura soltanto una guerra nucleare. Il nucleare civile può riservare brutte sorprese, a medio e lungo termine. Il destino finale delle scorie è tuttora un punto interrogativo, la vulnerabilità degli impianti aumenta con l’obsolescenza e il decomissioning ha costi difficili da digerire; ma, soprattutto, preoccupa il destino di questi impianti in caso di conflitti armati, come dimostra la guerra in corso nell’est europeo. Gli effetti sulla numerosità della popolazione si manifestano sia nell’immediato – evidenti in caso di conflitto nucleare – sia a medio e lungo termine: per esempio, le radiazioni influenzano negativamente il tasso di fertilità. Assieme al fallout e alla contaminazione più o meno diffusa, un’apocalisse nucleare provocherebbe un rapidissimo raffreddamento della Terra. Ma, anche nella peggiore delle ipotesi di collasso nucleare della Terra, lo scenario Horizon 2021 Due Miliardi di Terrestri non è plausibile.

L’umanità ha una sola possibilità di raggiungere questo obiettivo: coltivare appassionatamente questi tre scenari, assieme. Per esempio, “se alla distruzione globale seguissero diversi anni di operazioni militari convenzionali alimentate a benzina e diesel, le conseguenze permanenti per il sistema climatico sarebbero ancora peggiori”, ha scritto recentemente Robinson Meyer su The Atlantic. Non basta una sola fesseria, forse neppure due, ma tre grosse bestialità tutte assieme possono produrre effetti devastanti e irreversibili, per via dell’effetto cascata e delle reciproche retroazioni.

Mettendosi d’impegno, “si può fare!”. Così declamava Barack Obama, ripetendo ossessivamente lo slogan fortunato che lo trainò sulla via della Casa Bianca. E, prima di lui, lo aveva esclamato il formidabile Gene Wilder alias Dottor Frankenstein nel mitico film di Mel Brooks. Fine di una distopia agostana.

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