Mentre la morsa del caldo imperversa in una torrida estate di crisi di governo, pandemia e guerra, siamo costretti a preoccuparci anche della siccità. Vivendo su un pianeta la cui temperatura si innalza da anni in maniera progressiva, è inevitabile fare i conti prima o poi con la scarsezza d’acqua anche in aree che in passato non avevano questo problema. In pochi anni l’Italia ha registrato una netta diminuzione delle precipitazioni e, in particolare, pur continuando a piovere, le modalità sono diverse rispetto al passato: attualmente si verificano intense e violente piogge di breve durata e che apportano scarsi benefici per le falde o gli invasi.

Tra le fake news circolate in queste settimane sono finiti di nuovo nel mirino i bovini. Si accusano gli allevamenti di essere i principali responsabili della produzione di gas serra e ora anche del consumo delle risorse idriche. Ma le notizie ignorano che la rete idrica nazionale disperde il 40% dell’acqua potabile, con punte di oltre il 60% in alcune regioni (Umbria, Sardegna, Lazio e Sicilia). Per cui una prima causa è soprattutto rappresentata dalle perdite della rete di distribuzione idrica.
Rimaniamo quindi un paese ricco d’acqua ma anche di sprechi.

Tanti i provvedimenti proposti in queste settimane che potrebbero avere effetto a medio termine, dall’aumentare il numero d’invasi dove trattenere l’acqua fino a lavorare alla legge sul consumo del suolo e a un rifacimento della rete idrica nazionale che ad esempio migliori il trasposto dell’acqua, riduca le dispersioni e permetta di valorizzare le acque reflue sicure.

La gente, colpa di alcune operazioni di disinformazione è convinta, che siano l’agricoltura e gli allevamenti a consumare troppa acqua. La teoria per la quale per produrre carne si consumino eccessive risorse idriche si è diffusa sulla base di un calcolo errato, perché viene stimata la quantità di acqua che viene utilizzata nei processi produttivi, la cosiddetta ‘acqua virtuale’ . Tale quota, per la carne, include tantissimi fattori che però non hanno a che fare direttamente con l’effettiva produzione, ma piuttosto ne sono a corollario. Si afferma che per produrre 1 kg di carne bovina occorrano 15000 litri di acqua. Tale valore deriva da calcoli effettuati su allevamenti industriali che, tuttavia, rappresentano solo il 25% del patrimonio bovino mondiale mentre il rimanente è allevato al pascolo e consuma foraggio che già contiene l’85% di acqua. Non viene rimarcato, al contrario, che per produrre una lattina di coca cola o una tazzina di caffè occorrono 140 e 200 litri di acqua, rispettivamente.

Inoltre in tutte le aree a maggior densità zootecnica, la presenza del bestiame non ha mai comportato un impoverimento delle riserve idriche sotterranee. Se così fosse, dopo secoli di allevamento, quei luoghi dovrebbero essere delle aree desertiche, ma così non è.

Anzi la zootecnia ha garantito la vitalità di molte aree interne italiane ed è stata un elemento propulsore della cultura e delle tradizioni. Una stalla oggi contribuisce anche ad evitare quella desertificazione paesaggistica e culturale soprattutto delle aree interne. Immaginate come sarebbero certe aree (Trentino, dorsale appenninica, Barbagia, Irpinia, altopiano della Sila e complesso delle Madonie) senza animali al pascolo. Verosimilmente diventerebbero ulteriori aree soggette a frane ed erosione geologica oppure da cementificare, come avvenuto nell’entroterra ligure e nella costiera sorrentina.

Agricoltura e zootecnia sono ambiti nei quali sicuramente ci sono molti aspetti da migliorare e ottimizzare circa la gestione dell’acqua, la quota da destinare agli animali, ma anche per le tecniche di irrigazione. Tuttavia pensare che la siccità sia colpa dei bovini è un errore e un’affermazione superficiale di un problema più complesso.

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