Una norma incoerente con l’oggetto del provvedimento, che apre la strada alla realizzazione di un inceneritore a Roma in vista del Giubileo 2025. È l’articolo 13 del disegno di legge di conversione del decreto Aiuti, il casus belli che potrebbe far cadere il governo Draghi dopo un anno e mezzo in carica. Principalmente a causa dell’inserimento di quella previsione, infatti, il Movimento 5 Stelle ha scelto di uscire dall’Aula del Senato, non votando la fiducia che palazzo Chigi aveva posto sull’approvazione del decreto. Il testo dell’articolo, intitolato “Gestione dei rifiuti a Roma e altre misure per il Giubileo della Chiesa cattolica per il 2025”, dà al sindaco della Capitale Roberto Gualtieri (Pd), in qualità di Commissario straordinario del governo per il Giubileo, il potere di approvare con una semplice ordinanza, sentita la Regione Lazio, “i progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti”. E le parole “nuovi impianti”, in questo caso, non possono che riferirsi a quel termovalorizzatore da 600mila tonnellate annue annunciato da Gualtieri durante la seduta del Consiglio comunale del 20 aprile scorso e contestato, oltre che dagli ambientalisti e dal M5s, dall’ala sinistra della sua stessa maggioranza.

Una scelta che nel merito non può trovare il favore dei grillini, storicamente contrari a questo tipo di impianti. Ma le contestazioni del M5s sono anche – e soprattutto – di metodo. “Se si crea una forzatura e un ricatto per cui norme contro la transizione ecologica entrano in un dl che non c’entra nulla, noi per nessuna ragione al mondo daremo i voti. Se qualcuno ha operato una forzatura si assuma la responsabilità della pagina scritta ieri”, ha detto il leader Giuseppe Conte dopo il voto in Senato. Secondo l’ex premier, infatti, la vera ragione dello strappo è stata l’insistenza di Draghi a voler inserire inserire a tutti i costi quella previsione nel decreto. Il cui oggetto, peraltro, non ha nulla a che fare con i rifiuti, Roma, Gualtieri o il Giubileo: si parla di “misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina”. Insomma, nelprovvedimento è stata inserita una norma “palesemente eterogenea rispetto all’oggetto e alle finalità”, per citare una vecchia reprimenda del capo dello Stato ai tempi del secondo governo Conte.

Mercoledì in assemblea congiunta coi parlamentari Conte ha rivendicato la “coerenza e linearità” delle posizioni del partito, ripercorrendo le varie tappe della vicenda: “Sin da quando questo provvedimento è stato presentato e portato in Consiglio dei ministri abbiamo assunto spiegato le nostre ragioni contrarie alla famosa norma che attribuisce al Commissario per il Giubileo poteri straordinari. Una norma di cui è anche dubbia la costituzionalità, visto che sulla realizzazione di nuovi impianti per lo smaltimento dei rifiuti c’è una competenza regionale grande come una casa”. E ha ricordato che “quei poteri non sono stati dati alla sindaca uscente, la nostra Virginia Raggi. Ma il nostro grado di collaborazione è tale che su tutto questo abbiamo sorvolato, siamo andati oltre”, rivendica. “Abbiamo detto “bene, risolviamo questo problema, perché noi questa norma l’avremmo voluta anche per la nostra sindaca, però non ci opponiamo”.

“Già in Cdm i nostri ministri hanno chiesto una riformulazione della norma in linea con il piano regionale dei rifiuti del Lazio, presentato dallo stesso partito che chiede l’attribuzione dei super-poteri a Gualtieri, e con le norme europee, perché si potesse limitare la discrezionalità dei poteri al Commissario in modo che non sconfinassero nell’arbitrio. Tutto questo è stato respinto”, ha rivendicato il leader M5s. “Abbiamo chiesto allora di inserire la norma in un decreto ad hoc, seduta stante, nello stesso Consiglio dei ministri: oppure di inserirla in un emendamento da inserire in un qualsiasi veicolo normativo in corso di approvazione. Anche questa richiesta è stata respinta. A quel punto i nostri ministri sono stati costretti a non partecipare al voto. Come si poteva trascurare questo specifico segnale politico?”. E invece, prosegue, durante la discussione alla Camera c’è stato il rifiuto di accogliere la proposta 5s sul Superbonus e l’inserimento di una modifica restrittiva dei criteri per accedere al Reddito di cittadinanza. Da lì la decisione di votare sì alla fiducia ma non al merito del provvedimento, una strada però non percorribile a palazzo Madama. Qui le possiblità erano due: accettare la forzatura o ribellarsi. E Conte, stavolta, ha scelto la seconda.

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