Giorni decisivi per la riforma del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario, l’ultima delle tre “riforme Cartabia” dopo quelle – già diventate legge – del processo civile e penale (qui la scheda con i principali contenuti del provvedimento). Il testo, approvato a larghissima maggioranza alla Camera, è atteso in Aula al Senato a partire dalle 15.30 di mercoledì: dalle 18 di lunedì, invece, è partito il tour de force in Commissione Giustizia per votare i 257 emendamenti depositati nei giorni scorsi. Il problema è che la maggior parte vengono da partiti di maggioranza: il Movimento 5 Stelle ne ha presentati sette, la Lega 61, Italia Vivache a Montecitorio si è astenuta su diktat di Matteo Renzi – addirittura 86. Martedì mattina è prevista una riunione tra la Guardasigilli, il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà e i capigruppo di maggioranza in Commissione Giustizia, in cui si cercherà di arrivare al ritiro del maggior numero possibile di proposte.

Il momento è delicato: il timore del governo è che la débâcle dei referendum sulla Giustizia spinga il Carroccio a forzare la mano sulle proprie proposte, contando sui numeri in bilico (sia in Commissione che in Aula il centrodestra unito insieme a Italia Viva avrebbe la maggioranza) e sull’appoggio del relatore, il leghista Andrea Ostellari. L’ex ministro Roberto Calderoli, uno dei maggiori sponsor dei quesiti, l’ha detto chiaramente: “Noi intendiamo riproporre gli emendamenti che raggiungerebbero il medesimo risultato di un eventuale referendum approvato”. Il giorno dopo lo ha ribadito il leader Matteo Salvini: “Nell’ottica dei sì che hanno vinto con tutti i cinque i quesiti, la Lega porterà in Commissione delle proposte che siano conseguenti”, dice durante la conferenza stampa in via Bellerio (dimenticando che l’affluenza alle urne è stata la più bassa di sempre). E la responsabile Giustizia del partito, Giulia Bongiorno, spiega che la riforma Cartabia “è positiva ma è blanda, noi vogliamo renderla più incisiva“. Mentre l’Associazione nazionale magistrati spinge nella direzione opposta: il mancato quorum “è una sonora bocciatura di un disegno di riforma della magistratura che non è gradito”, dice il presidente Giuseppe Santalucia, che invita il Senato a modificare il testo “alla luce dell’indicazione molto forte” venuta dai referendum.

Le proposte depositate da Lega, Fratelli d’Italia e Italia Viva sono molto simili tra loro: puntano a inserire nella riforma la separazione assoluta delle funzioni di pm e giudici (quella che non si è riuscita a realizzare per referendum, mentre il testo attuale prevede ancora la possibilità di un passaggio) e criteri ancora più stringenti sulla valutazione dei magistrati. I sette emendamenti del M5S, invece, vorrebbero abolire il contestatissimo “fascicolo per la valutazione del magistrato” con i dati statistici che influiscono sulle valutazioni di professionalità, concedere due passaggi di funzioni tra magistratura giudicante e requirente (o viceversa) o in subordine far valere il nuovo limite solo per i magistrati neo-assunti. “La nostra riforma era quella Bonafede. Siamo orgogliosi di aver tenuto il punto sullo stop alle porte girevoli con la politica, ma per quanto riguarda il sistema di elezione e il passaggio di funzioni, avevamo idee diverse. Ci rendiamo conto della necessità di approvarla e ci siamo comportati di conseguenza. Ma non tollereremo comportamenti sleali da parte di altri partiti di maggioranza”, dice al fattoquotidiano.it la capogruppo in Commissione Giustizia Alessandra Maiorino.

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