La Camera dei deputati ha approvato la riforma del Consiglio superiore della magistratura (Csm) e della legge sull’ordinamento giudiziario, nel testo licenziato dalla Commissione Giustizia lo scorso 14 aprile. I favorevoli sono stati 328, i contrari 41 e gli astenuti 25. Hanno votato contro le forze di opposizione al governo Draghi (su tutte Fratelli d’Italia e Alternativa), mentre come annunciato si sono astenuti i deputati di Italia Viva. Ora il testo è atteso al Senato, dove si punta a un ok rapido: la ministra della Giustizia Marta Cartabia aveva invitato le forze di maggioranza a concentrare a Montecitorio il dibattito, proposta però rispedita al mittente da Lega e Italia Viva. Ed è probabile che sul testo verrà posta la questione di fiducia che il premier ha voluto a tutti i costi evitare alla Camera. Sullo sfondo c’è l’agitazione dell’Associazione nazionale magistrati che potrebbe condurre al primo sciopero dai tempi dei governi Berlusconi: nei giorni scorsi il Comitato direttivo centrale – il “parlamentino” del sindacato delle toghe – ha affidato all’Assemblea degli iscritti, convocata per sabato 30 aprile, il compito “di deliberare su ogni efficace forma di protesta, ivi compresa la proclamazione di una giornata di astensione dall’attività giudiziaria”.

“Abbiamo proposto la riforma migliore possibile ben consapevoli che tutto è perfettibile”, ha detto Cartabia subito prima del voto. La riforma è la terza del cosiddetto “pacchetto giustizia” voluto dalla Guardasigilli dopo quelle – già approvate – di riforma del processo civile e penale. Delle tre leggi è anche quella che ha avuto la gestazione più lunga: basta pensare che il testo base adottato dalla Commissione era stato presentato dall’ex ministro Alfonso Bonafede nel settembre 2020, oltre un anno e mezzo fa. Su quel testo gli emendamenti del governo Draghi – frutto di un lunghissimo confronto tra le forze politiche – sono intervenuti soltanto a febbraio 2022, per poi venire ulteriormente limati in numerosi confronti successivi, fino alla vigilia del voto in Aula. La necessità del provvedimento è stata invocata più volte dal capo dello Stato Sergio Mattarella, che le ha dedicato un lungo passaggio del suo discorso alle Camere durante la cerimonia di reinsediamento a febbraio 2022.

“È una mini-riforma, una riforma inutile. Non dà linea e non dà visione. La politica oggi rinuncia a fare da legislatore, ci dispiace per il ministro Cartabia che ha scelto la strada di una scorciatoia con una riforma che non migliorerà nulla”, ha attaccato in dichiarazione di voto per Italia Viva il deputato Cosimo Ferri. “È una riforma che si colloca a metà strada tra chi la considera inutile e chi la considera pericolosa: si colloca cioè sull’asse del riformismo possibile”, ha detto invece Alfredo Bazoli del Pd. Per Liberi e Uguali, Federico Fornaro ha difeso su tutta la linea il provvedimento (definito addirittura “un punto di svolta nella storia della travagliata giustizia italiana”), compreso il contestato fascicolo per la valutazione dei magistrati, che – dice – “solo per un riflesso pavloviano e conservatore viene considerato uno strumento di controllo”. Favorevole anche la dichiarazione di Forza Italia con Matilde Siracusano: “Questa non è la nostra riforma, ma se non ci fosse stata FI al governo non avremmo approvato lo stop alle porte girevoli o la separazione delle funzioni. È la migliore legge che sull’ordinamento giudiziario che si è prodotta”, ha detto. Mentre Valentina D’Orso per il Movimento 5 Stelle ricorda il “faticosissimo percorso di mediazione, lungo cui il M5S ha difeso, per quanto possibile, il disegno di legge originario, e ha avuto il ruolo di aver fatto da argine a derive verso cui si rischiava di scivolare e che avrebbero minato l’indipendenza e l’autonomia della magistratura”.

A esultare però è soprattutto Enrico Costa, il “falco anti-pm” di Azione padre della legge-bavaglio sulla presunzione d’innocenza: “Questa legislatura è iniziata con l’approvazione della legge Spazzacorrotti, la legge sul “fine processo mai”. Oggi finalmente arriviamo a un’inversione a U“, dice. Mentre Maurizio Lupi (Noi con l’Italia) ha attaccato l’ipotesi di uno sciopero delle toghe: “Mi auguro che non saremo costretti ad assistere allo spettacolo ingiustificabile di un potere dello Stato che sciopera contro un altro potere dello Stato”, ha detto. Prima delle dichiarazioni di voto sono stati respinti i 38 ordini del giorno presentati alla Camera: su tutti il governo aveva espresso parere negativo, ma nonostante ciò Italia Viva ha votato a favore insieme alle opposizioni. In particolare, un odg a prima firma di Maria Carolina Varchi (Fratelli d’Italia) invitava a realizzare una completa separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, mentre un altro del renziano Ferri chiedeva di sopprimere il cumulo di indennità per quei magistrati (soprattutto amministrativi) che assumono incarichi di governo senza andare fuori ruolo, e quindi esercitando in contemporanea funzioni giudiziarie e tecnico-politiche. Ecco i principali contenuti del testo approvato dalla Camera.

Legge elettorale Csm – Il numero dei membri dell’organo sale dagli attuali 27 a 33: venti saranno i togati (cioè gli eletti dalla magistratura al proprio interno) e dieci i laici (eletti dal Parlamento in seduta comune), oltre ai tre membri di diritto (presidente della Repubblica, primo presidente e procuratore generale della Cassazione). Quindici dei venti togati verranno eletti da sette collegi binominali maggioritari: uno per i magistrati di Cassazione, due per i pm (con ripescaggio del miglior terzo) e quattro per i giudici di merito. Gli altri cinque giudici di merito, invece, usciranno da un collegio unico nazionale, pensato per recuperare una quota proporzionale in un sistema che altrimenti, secondo molti addetti ai lavori, avrebbe favorito le maggiori correnti. Il tema della legge elettorale è uno di quelli su cui si sono registrati gli scontri politici più accesi: il rifiuto di Cartabia di aprire a meccanismi di sorteggio temperato (cioè di sorteggio di un multiplo dei componenti da eleggere) è il motivo per cui i renziani hanno annunciato l’astensione. Negli ultimi giorni è stata abbandonata anche la proposta leghista di sorteggiare i collegi elettorali, tornando al testo del governo che invece delegava la loro determinazione al ministro.

Porte girevoli/eleggibilità – Per quanto riguarda le sovrapposizioni tra mandato politico e funzioni giudiziarie, si prevede innanzitutto che non sarà più possibile esercitarli nello stesso tempo, nemmeno in distretti diversi (il caso più celebre è quello di Catello Maresca, giudice a Campobasso e insieme consigliere comunale a Napoli): “L’aspettativa è obbligatoria per l’intero periodo di svolgimento del mandato o dell’incarico di governo sia nazionale che regionale o locale e comporta il collocamento fuori ruolo del magistrato”, si legge all’articolo 17. I magistrati (art. 15) non saranno eleggibili nè potranno assumere incarichi di governo nazionale o locale “se prestano servizio, o lo hanno prestato nei tre anni precedenti (…) nella regione nella quale è compresa la circoscrizione elettorale”. Per essere eletti sindaco o consigliere comunale o assumere l’incarico di assessore comunale, invece, non bisognerà aver lavorato nei tre anni precedenti “nel territorio della provincia in cui è compreso il comune, o in province limitrofe”. In ogni caso, già all’atto dell’accettazione della candidatura sarà obbligatorio collocarsi in aspettativa senza assegni.

Porte girevoli/ricollocamento – In caso di mancata elezione non si potrà rientrare in ruolo nella stessa circorscizione in cui ci si è candidati, né nel distretto in cui si esercitavano le funzioni all’atto della candidatura. E in ogni caso il ricollocamento “è disposto con divieto di esercizio delle funzioni di giudice per le indagini preliminari e dell’udienza preliminare o di pubblico ministero e con divieto di assumere incarichi direttivi e semidirettivi” (art. 18). Se invece si viene eletti (art. 19) il rientro nelle aule giudiziarie è precluso per sempre: i magistrati saranno collocati in appositi ruoli presso il ministero della Giustizia, la Presidenza del Consiglio o l’Avvocatura di Stato. Le stesse regole valgono per il rientro da un incarico di governo non elettivo (componente dell’esecutivo o delle giunte regionali o comunali) se il mandato ha durata superiore a un anno. Chi invece rientra da incarichi apicalitecnici” presso i ministeri (capo e vicecapo di gabinetto, segretario generale, capo e vicecapo di dipartimento) dovrà osservare un anno diraffreddamento” fuori ruolo (negli emendamenti Cartabia erano tre), dopodiché – per altri tre anni – non potranno assumere incarichi direttivi o semidirettivi.

Separazione delle funzioni – Il testo approvato in Commissione e ora in Aula prevede un limite drastico ai passaggi di funzioni tra magistratura giudicante e requirente: d’ora in poi sarà possibile esercitare questa facoltà una sola volta (al momento è possibile farlo per quattro volte, che scendevano a due sia nel testo Bonafede che negli emendamenti Cartabia). Non solo, ma il passaggio dovrà avvenire nei primi dieci anni di carriera (a meno che non si tratti di passaggio da pm a giudice civile e viceversa). Una norma che introduce una forma di separazione delle carriere “di fatto” e per questo è stata criticata dall’Anm: secondo il sindacato delle toghe in questo modo “si allontana il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione, ravvisando nel cambio di funzioni una esperienza patologica, da isolare e presto rimuovere, nella carriera del magistrato”. Quella sulla separazione delle carriere, peraltro, è una storica battaglia del berlusconismo: “È incredibile che quel disegno si stia realizzando in un momento in cui al governo non c’è solo il centrodestra, ma una coalizione che arriva fino al Pd e ai 5Stelle, partiti e movimenti che avevano fatto del contrasto a questo tipo di riforme un loro cavallo di battaglia politica”, ha detto al Fatto il consigliere Csm Nino Di Matteo.

Fascicolo per la valutazione – Un altro tema oggetto di scontro è l’introduzione – grazie a un emendamento di Enrico Costa – del “fascicolo per la valutazione” di ogni magistrato (art. 3), “contenente, per ogni anno di attività, i dati statistici e la documentazione necessari per valutare il complesso dell’attività svolta, compresa quella cautelare” e “la sussistenza di caratteri di grave anomalia in relazione all’esito degli atti nelle successive fasi o nei gradi del procedimento e del giudizio”. Questo documento dovrà essere tenuto in considerazione dal Csm nel compilare le valutazioni di professionalità a cui a intervalli regolari sono sottoposti tutti i magistrati e che ne garantiscono l’idoneità lavorativa. Anche questa norma è stata assai criticata dalle toghe: secondo Di Matteo l’effetto sarà di “burocratizzare la magistratura, di gerarchizzare i singoli magistrati, di renderli attenti soltanto ai numeri e alle statistiche piuttosto che a rendere giustizia, di impaurirli, rendendoli più soggetti alla volontà dei capi degli uffici e più esposti a possibili interferenze esterne“.

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