Anche Oxfam chiede di introdurre in Italia un salario minimo legale. Accompagnato dall’allargamento della validità dei contratti collettivi nazionali più rappresentativi a tutti i lavoratori dei rispettivi settori, quello strumento consentirebbe di affrontare l’emergenza del lavoro sfruttato e sottopagato esacerbata dall’inflazione e dall’impatto della guerra in Ucraina sulla crescita. L’indicazione arriva dal nuovo rapporto Disuguitalia – Ridare valore, potere e dignità al lavoro presentato al primo Oxfam Festival, iniziato giovedì a Firenze. Tra le linee di indirizzo per il governo c’è anche l’auspicio che negli appalti del Recovery plan vengano rafforzate le clausole di condizionalità su qualità del lavoro e assunzione di giovani e donne, una chance per ridurre divari di lungo periodo che la ripresa post pandemia non sta colmando.

Il report scritto da Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia, parte dai dati. In Italia un lavoratore su otto vive in una famiglia con reddito disponibile insufficiente a coprire i propri fabbisogni di base. L’incidenza della povertà lavorativa, misurata in ottica familiare, è cresciuta di tre punti percentuali in poco più di un decennio: dal 10,3% del 2006 al 13,2% del 2017. Guardando ai singoli lavoratori, la quota di coloro che hanno basse retribuzioni è cresciuta dal 17,7% del 2006 al 22,2% nel 2017, arrivando a superare il 50% tra gli impiegati prevalentemente in tempo parziale. Tra le donne la percentuale è addirittura del 27,8%. E il rimbalzo del pil dopo il Covid non ha migliorato la situazione: “L’occupazione recuperata è in gran parte precaria, un riflesso della forte incertezza delle imprese sull’evoluzione della pandemia e sulla tenuta della crescita”, ricorda Linda Laura Sabbadini, direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’Istat, intervistata nel rapporto che contiene anche conversazioni con il docente di demografia Alessandro Rosina e il fondatore dell’associazione anti caporalato No Cap Yvan Sagnet.

“Oggi il lavoro è troppo spesso leso nella sua dignità, per troppe persone non basta a soddisfare i bisogni del proprio nucleo familiare e avere prospettive di un futuro dignitoso“, è il commento di Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia. “Il dettato costituzionale rischia di subire una pericolosa rilettura con la povertà lavorativa assurta nei fatti a fondamento della Repubblica”. Una situazione che deriva da deindustrializzazione, espansione dell’occupazione in settori a bassa produttività del lavoro e con salari orari più bassi e strategia competitiva di molte imprese basata sulla compressione del costo del lavoro,” favorita dalle politiche di flessibilizzazione che hanno visto la moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche e una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro ad assumere lavoratori con contratti a termine o a esternalizzare attività o parti del ciclo produttivo”. La proliferazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ormai poco meno di un migliaio, “riduce inoltre la capacità della contrattazione di garantire minimi salariali adeguati”.

Per contrastare la povertà lavorativa e le disparità sul mercato garantendo retribuzioni eque, Oxfam fa alcune proposte e richieste alla politica. Per prima cosa mette in evidenza le debolezze del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che “assomiglia più a una sommatoria di interventi che a un’organica agenda di sviluppo” e manca di una solida visione di politica industriale. Gli interventi in quest’ambito sono di breve respiro e “debolmente allineati con il raggiungimento degli obiettivi trasversali”, cioè la riduzione delle disuguaglianze di genere, territoriali e generazionali. I comparti su cui si punta sono costruzioni, edilizia, commercio: quelli in cui i posti di lavoro tendono ad essere poco qualificati, precari e scarsamente pagati. La maggior parte delle risorse in capo al ministero dello Sviluppo è destinata a incentivi alle imprese senza condizionalità in termini di innovazione, sostenibilità, tenuta dei livelli occupazionali e qualità del lavoro, è la critica di Oxfam. Lo stesso vale per gran parte dei soldi che andranno a chi si aggiudicherà appalti o concessioni. Di qui la richiesta di impegnarsi perlomeno a limitare l’uso di deroghe al vincolo di destinare a donne e under 36 almeno il 30% dei posti di lavoro aggiuntivi creati per realizzare le opere messe a gara. Al momento è infatti prevista la possibilità di una deroga parziale a discrezione della stazione appaltante: nel caso del lavoro femminile, per esempio, basta che nel settore di riferimento il tasso di occupazione femminile sia molto sotto la media per poter decidere di non rispettare la quota. Cosa che rischia di perpetuare le disparità.

Un altro passo auspicato nel rapporto è che la condizionalità riguardi anche la qualità dei nuovi posti legati agli appalti del Recovery. Più in generale, Oxfam condivide con i sindacati la convinzione che occorra disincentivare l’utilizzo dei contratti a termine. Il decreto Dignità, pur con molti limiti, andava in quella direzione ma con l’alibi della pandemia è stato scardinato. Ora a indicare la strada c’è la Spagna: “Le recenti scelte del governo spagnolo in materia di politiche del lavoro (allineate alle raccomandazioni della Commissione Europea) potrebbero fornire un valido esempio di intervento organico che in una fase di crisi perdurante, salari in caduta e aumento di inflazione mira a rigenerare un quadro normativo obsoleto”, nota il rapporto. La riforma iberica introduce tra il resto forti limitazioni all’esternalizzazione del lavoro con appalti a imprese multiservizi e prevede una drastica riduzione delle forme contrattuali a tempo determinato.

Di qui al tema caldissimo del salario minimo il passo è breve. Il punto di partenza è che oggi la contrattazione collettiva è un’arma spuntata nella difesa dei lavoratori più deboli, non solo perché molti sono in parte o totalmente in nero ma anche a causa della crescente diffusione dei contratti pirata con minimi salariali ben sotto quelli previsti dai ccnl principali. Secondo la ong le strade per uscirne sono un due. Entrambe in salita, per motivi tecnici e soprattutto politici, ma non alternative. Per prima cosa si dovrebbe essere estendere per legge “erga omnes”, cioè a tutti i lavoratori del settore, la validità dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati e associazioni imprenditoriali più rappresentativi. Questo frenerebbe sia la moltiplicazione dei contratti collettivi sia il dumping salariale, che penalizza in primo luogo i lavoratori ma in seconda battuta anche le imprese virtuose. Per farlo bisogna ovviamente essere in grado di misurare la rappresentatività, appunto, cosa che richiede però un accordo tra le parti sociali (finora tutti i tentativi sono rimasti sulla carta).

Il secondo step dovrebbe essere appunto l’introduzione di un salario minimo legale. Come è noto le resistenze non sono solo confindustriali: anche i sindacati sono al più tiepidi. Temono impatti negativi sulla contrattazione collettiva, anche se gli esempi che arrivano dal resto d’Europa dimostrano che non ce ne sono. Per Oxfam lo strumento sarebbe utile sia per colmare gli ambiti di attività non coperti dai contratti collettivi sia per rafforzare il potere negoziale degli autonomi. A fissare la soglia e aggiornarla periodicamente dovrebbe essere una commissione di esperti e rappresentati delle parti sociali, come in Germania.

Quanto all’inserimento lavorativo dei percettori di reddito di cittadinanza – su cui “la narrazione mainstream, dissacrante e colpevolizzante dei percettori ha raggiunto livelli eticamente inaccettabili” – il rapporto ribadisce tutte le debolezze delle modifiche varate con l’ultima legge di Bilancio. Che non ha accolto quasi nessuna delle proposte di modifica avanzate dal Comitato scientifico per la valutazione del Reddito presieduto dalla sociologa Chiara Saraceno. Tra i principali nodi irrisolti c’è l’oggettivo scoraggiamento ad accettare offerte di lavoro che deriva dall’aliquota marginale effettiva che colpisce i beneficiari quando iniziano a lavorare: l’importo del sussidio diminuisce di 80 centesimi per ogni euro di incremento del reddito da lavoro, con riduzione totale dopo un anno. La richiesta è di ridurre l’aliquota dall’80 al 60%, cosa che peraltro il governo aveva fatto salvo poi cancellare la novità per problemi di coperture. Per “tenere in debito conto le fragilità e la distanza dal mercato del lavoro dei beneficiari”, aggiunge Oxfam, andrebbe anche modificata la definizione di “congruità” delle offerte ammettendo temporaneamente anche contratti di un mese. Al contrario va eliminato l’obbligo di accettare la seconda offerta di lavoro sull’intero territorio nazionale, pena la perdita del beneficio: una condizione “punitiva per occupazioni spesso a tempo parziale e bassa retribuzione”. Discutibili vengono giudicati anche l’incentivo ai datori che assumono a tempo parziale (in precedenza la decontribuzione spettava solo per assunzioni a tempo indeterminato e pieno) e il coinvolgimento delle agenzie per il lavoro private a cui viene destinato il 20% del “premio” che va all’azienda che assume. Questo a scapito, secondo l’ong, dei centri per l’impiego, le cui debolezze sono però ben note e il programma per rafforzarli con le risorse del Pnrr è ancora alle battute iniziali.

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