Anche in Italia l’emergenza Covid ha portato con sé, insieme alla caduta in povertà assoluta di 1 milione di persone, un allargamento del divario tra ricchi e poveri. Il 10% più abbiente ha visto salire lievemente, al 52,3%, la propria quota sulla ricchezza complessiva, mentre nelle mani della metà più povera della popolazione restava solo l’8,6%. È l’esito di un trend ventennale di crescente polarizzazione, che in vent’anni ha visto crescere di 2,5 punti la percentuale del top 10% e calare del 4,6% quella del 50% meno abbiente (vedi figura sotto). Le misure di welfare varate nel primo anno di pandemia hanno attutito il colpo, impedendo una divaricazione anche della disuguaglianza di reddito. Ma nel 2021, nota Oxfam nel nuovo rapporto Disuguitalia preparato come ogni anno in occasione del Forum dei potenti della politica e dell’economia a Davos, la ripresa è stata trainata dal lavoro precario con il rischio di un nuovo aumento dei working poor. L’evoluzione futura è appesa agli interventi strutturali messi in campo dal governo Draghi prima della quarta ondata. Cioè riforma fiscale, assegno unico per i figli, modifiche al reddito di cittadinanza e nuovi ammortizzatori sociali. Che scontano, sottolinea la ong, “le difficili convergenze di una maggioranza disomogenea e la prevalenza di pulsioni conservatrici”.

Il giudizio è in chiaroscuro, spiega Mikhail Maslennikov, policy advisor di Oxfam Italia sui temi della giustizia fiscale e della disuguaglianza. “L’esito della revisione dell’Irpef, che assicura i vantaggi più consistenti ai redditi medio-alti e non porta benefici al 20% delle famiglie in condizione economica meno favorevole, non ci sorprende: era già “scritto” nel compromesso raggiunto la scorsa estate dai partiti di maggioranza come esito dell’indagine conoscitiva sulla riforma”. Il rapporto di Oxfam lamenta che “non è presente tra gli obiettivi il perseguimento del principio dell’equità orizzontale dell’imposizione” ed è stato “espunto qualsiasi intervento di natura patrimoniale relativo a possesso o trasferimento di ricchezza”. Inoltre “desta forte indignazione la scelta del governo, per le croniche divergenze dei partiti della maggioranza, di abdicare al pur temporaneo congelamento degli effetti della nuova Irpef per titolari di reddito imponibile superiore ai 75.000 euro con la destinazione dei proventi al sostegno delle spese per le bollette energetiche rincarate per le famiglie meno abbienti”.

Ora però c’è da affrontare il resto della delega, che comprende tra l’altro la revisione del catasto. “Ci piacerebbe una ricomposizione della base imponibile, cioè l’eliminazione dei troppi regimi agevolati che sottraggono reddito all’Irpef”, continua Maslennikov, “ma è evidente che questa maggioranza disomogenea non produrrà mai qualcosa che vada in direzione della giustizia sociale. Ormai hanno optato per il sistema duale, in base al quale i redditi da capitale sono tassati separatamente. Le nostre richieste minime allora sono: non archiviate la riforma del catasto, come chiederà il centrodestra nonostante la riforma degli estimi fosse auspicata anche dal documento conclusivo dell’indagine conoscitiva condotta tra 2019 e 2020 dalla commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, presieduta da un deputato leghista. Eliminate l’aberrante flat tax al 15%. Ed evitate di abbassare ancora l’aliquota sui redditi da capitale“.

Stime condivise dagli autori del Global Wealth Report 2021 di Credit Suisse, rielaborazione Oxfam

L’assegno unico è invece ritenuto positivo dal punto di vista della redistribuzione, “ma ci sono ritocchi da fare per evitare di beneficiare di più le famiglie numerose più ricche. E andrebbe rivista la componente immobiliare dell’Isee, altrimenti la casa di proprietà diventa elemento troppo penalizzante. Infine la clausola di salvaguardia per evitare una riduzione dei benefici rispetto alla situazione precedente va estesa con copertura piena almeno fino al 2024″.

Pessime, per Oxfam, le modifiche all’impianto del reddito di cittadinanza, pure rifinanziato con oltre 1 miliardo di euro: “Il comitato per la valutazione della misura, presieduto da Chiara Saraceno, è rimasto inascoltato. E gli interventi fatti non tengono conto dell’inefficienza delle politiche attive e delle basse qualifiche dei percettori, pochi dei quali sono occupabili. Ci preoccupa che gli incentivi a chi assume i beneficiari spettino anche in caso di contratti brevi e che si privatizzi lo scouting offrendo il 20% dell’eventuale sgravio alle Agenzie per il lavoro. Auspichiamo che in corso d’opera ci sia almeno un intervento sui criteri d’accesso per cittadini stranieri extra Ue lungo soggiornanti e sull’aliquota marginale effettiva che colpisce i beneficiari che iniziano a lavorare, problema di cui il governo aveva dimostrato di essere ben consapevole”. Nella prima versione della manovra era previsto – come annunciato dallo stesso premier Draghi – che lo stipendio avrebbe concorso solo per l’80% alla determinazione del futuro sussidio, anche a valle della presentazione del nuovo Isee. Poi quella parte è stata cancellata per problemi di copertura, come ammesso dal ministero dell’Economia Daniele Franco, per concentrarsi sul giro di vite sui controlli e nuovi obblighi per i percettori. “Ben venga il contrasto alle irregolarità, ma non se diventa la scusa per dare sponda alla narrazione sui “fannulloni” e denigrare uno strumento che è stato cruciale durante la pandemia”.

Quanto agli ammortizzatori, “la coperta è stata allargata ma le risorse ottenute dal ministro Orlando sono insufficienti per un intervento davvero universalistico come quello che era stato delineato dalla commissione Catalfo. Gli strumenti in costanza di rapporto di lavoro ora tutelano anche molte categorie prima scoperte, ma con il Fis e non con la più generosa Cig ordinaria. Ma per il lavoro autonomo non c’è nulla“. Rimane solo la modestissima Iscro introdotta con la manovra precedente. Il tutto in un contesto che ha visto l’occupazione complessiva recuperare i livelli pre Covid, ma con una ricomposizione a favore del lavoro precario. “Il rischio è un ritorno allo status quo pre pandemico, che ha visto crescere la quota dei working poor di oltre 6 punti percentuali dall’inizio degli anni ‘90. La nostra indicazione è che bisogna porre un termine alla deregulation contrattuale: apprendistati, tirocini e part-time, che dovrebbero essere tappe di ingresso sul mercato, sono abusati. Ed è importante rafforzare la partecipazione dei lavoratori a gestione e proprietà delle imprese” e supportare il trasferimento tecnologico alle pmi, attraverso un sistema ispirato al Fraunhofer tedesco, in modo che possano creare più posti di lavoro qualificati”.

Infine ci sono le richieste per contrastare la disuguaglianza tra Paesi e quella vaccinale: occorre mantenere la promessa di donare 45 milioni di dosi di vaccino ai Paesi poveri, supportare le proposta di sospendere i diritti di proprietà intellettuale su vaccini e terapie , promuovere l’investimento in siti produttivi decentralizzati, dar seguito all’impegno di riallocare ai Paesi vulnerabili una quota dei diritti speciali di prelievo ricevuti dal Fmi, rispettare la promessa di destinare all’aiuto allo sviluppo lo 0,7% del pil e supportare la creazione di un organismo autonomo che coordini e gestisca le sospensioni temporanee e le eventuali rinegoziazioni dei debiti dei Paesi in via di sviluppo. Perché il programma ad hoc varato dal G20 all’inizio della pandemia è ormai scaduto.

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