A poco più di due settimane dall’inizio dell’udienza preliminare, il giudice di Milano Chiara Valori ha respinto la richiesta di sequestro di sequestro conservativo da oltre 1,5 milioni di euro presentata da una delle parti civili nel procedimento a carico di Alberto Genovese, accusato di violenza sessuale nei confronti di due giovani donne. Non ci sono elementi che provano che l’imprenditore del web, arrestato nel novembre 2020 e accusato di due stupri con uso di droghe su due ragazze, “abbia posto in essere un negozio simulato“, con la creazione di un trust in cui ha fatto confluire il suo patrimonio, “al mero scopo di sottrarre la garanzia ai propri creditori” su un eventuale risarcimento.

Per il giudice, Genovese, già avanzando offerte nella scorsa udienza alle due giovani, ha dimostrato “fattivamente di non essere intenzionato a sottrarsi alle obbligazioni risarcitorie” e poi quel trust è stato “studiato proprio alla scopo di garantire il pagamento delle somme dovute a titolo risarcitorio anche prima del termine finale di durata fissato”. In più, “proprio le vittime del reato sono indicate tra i beneficiari indiretti del patrimonio“. La stessa difesa di Genovese, scrive il gup, ha “chiesto che fosse indicato a verbale che gli assegni circolari già emessi”, per i risarcimenti offerti e rifiutati nell’udienza del 5 aprile, “rimarranno depositati” nello studio legale “fino alla conclusione del processo”, se le parti civili “dovessero mutare il proprio orientamento”. E l’imprenditore, tra l’altro, “resterà beneficiario” del trust “allo scopo di far fronte al risarcimento dei danni, mentre le ragioni delle vittime rimarranno in ogni caso garantite anche laddove l’imputato dovesse” scappare o morire. Quel trust, dunque, conclude il gup, non è “uno strumento di elusione della responsabilità giuridico-patrimoniale” dell’imputato.

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