Sono 103.854 gli studenti che non arriveranno alla maturità. Ragazzi e ragazze che nell’anno scolastico 2017/2018 si erano iscritti ad una scuola ma ora non sono più tra quei banchi. Molti (la maggioranza) di loro hanno abbandonato gli studi. Non ce l’hanno fatta. Hanno preferito provare a cercare un’occupazione. Altri hanno deciso di migrare in un altro istituto, magari dal liceo al tecnico o da quest’ultimo al professionale. Adolescenti o poco più che hanno risentito del disagio creato dalla pandemia. Per mesi tutti hanno parlato delle loro difficoltà a fare lezione da casa, dell’aumento dei tentativi di suicidio o di autolesionismo. Oggi, a meno di due mesi, dalla prima prova dell’esame di Stato, i dati messi a disposizione del ministero dell’Istruzione consegnano una fotografia nitida: cinque anni fa gli studenti iscritti alla prima della secondaria di secondo grado erano 592.819; quest’anno gli alunni arrivati in quinta sono 488.965. Un netto calo che trova le sue radici “nella pandemia ma anche nella mancanza – spiega Andrea Gavosto, direttore della fondazione “Giovanni Agnelli” – di una seria politica di orientamento”.

Tra le prime regioni con il maggior numero di alunni che, dopo cinque anni, non compaiono più tra gli iscritti ci sono Lombardia (-18.063), Campania (-13753) e Sicilia (-10.999). Nella seconda fascia (tra i 5 e i 10mila alunni persi o migranti) si registrano l’Emilia Romagna (- 8783), la Toscana (-7486), il Lazio (-7436), il Piemonte (-7019) e infine la Puglia (-6933) e il Veneto (-6823). Analizzando i dati, poi, si scopre che sono le scuole del Nord (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia Romagna) ad avere un numero di abbandoni (44.846) maggiore a quelle del Sud (Basilicata, Calabria, Campania, Sicilia, Molise, Sardegna, Puglia), che hanno registrato 39.588 casi. Mentre al Centro (Toscana, Marche, Umbria, Abruzzo, Lazio) ci si ferma a 19.420. “Dobbiamo osservare – spiega il direttore della fondazione “Agnelli” – che in Meridione alcune regioni come la Sardegna o la Calabria non rientrano tra coloro che portano la maglia nera. Certo è che resta alto il numero di coloro che lasciano l’istruzione oppure si accorgono di aver sbagliato indirizzo in Sicilia o in Campania”.

Gavosto è convinto che si debba intervenire a livello territoriale con politiche ad hoc che tengano conto dei contesti. Una delle diagnosi che fa l’esperto torinese è legata al tema orientamento: “Non si può fare solo al terzo anno della scuola media ma va messo in campo per tutti i tre anni della secondaria di primo grado. Vanno date più informazioni ai ragazzi e alle loro famiglie, inoltre i docenti devono fare più didattica orientativa che permetta, attraverso dei compiti di realtà, di offrire agli studenti la possibilità di vedere le loro inclinazioni”. Altra questione: gli indirizzi. Da sempre in Italia i professionali sono visti scuole di serie B ma così non va: “In Francia stanno facendo una seria riforma degli indirizzi per cui tutti studiano le stesse discipline con l’aggiunta di alcune materie opzionali a seconda della scuola. In Germania i professionali accompagnano a delle lauree. In Italia va ripensata l’architettura della secondaria di secondo grado”.

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