Attacchi ai pm fiorentini, frecciate ai media, senza mai entrare nel merito del caso discusso in Senato. Nel giorno in cui il Senato ha deciso di trascinare la procura di Firenze davanti alla Corte Costituzionale per un presunto conflitto d’attribuzione di poteri sul caso Open, con il solo voto contrario di M5s e LeU e il Pd schierato in difesa del leader Iv, Matteo Renzi ha preso la parola per 20 minuti, per tornare ad accusare magistrati e giornalisti. “Abbiamo dei pm che si ritengono depositari di una verità fattuale, sostituti della politica, ispiratori dei commenti sui giornali e addirittura padri e madri costituenti pronti a disattendere il dettato costituzionale”, si è scagliato il leader di Italia Viva. L’ex premier, in diversi passaggi del discorso, non sono mancati applausi: da Salvatore Margiotta all’ex capogruppo Andrea Marcucci, passando per Dario Stefano, Gianni Pittella, Luigi Zanda. Quasi tutti componenti della corrente ex renziana del partito.

Renzi – come per abitudine – se la prende anche con i media: “Noi difendiamo la libertà dell’informazione, ma non può vederci silenziosi davanti a una velina del procura che vale di più di una sentenza della Cassazione. Non è pensabile che notizie prive di rilevanza penale vengano pubblicate in prima pagina. Se la stampa cede il ruolo di guardiano democratico il populismo vince anche per la mancanza di responsabilità da parte della stampa”.

L’ex premier nega di voler scappare dal processo e insiste sempre sullo stesso punto: le sue guarantigie parlamentari che sarebbero state violate. A sostegno della sua tesi ha citato alcune sentenze della Cassazione. Non certo quelle che smontano la relazione a favore dello stesso Renzi e riguardano la natura delle chat Whatsapp (che, come ha invece ricordato Pietro Grasso, “non rientrano nella nozione di corrispondenza, né costituiscono attività di intercettazione”, ma sono da considerarsi come semplici “documenti”, come precisa una “consolidata giurisprudenza della Cassazione”). Renzi ha invece citato quelle riguardanti l’annullamento dei sequestri a carico del suo amico Marco Carrai, pronunce che però col suo caso non c’entrano nulla.

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