Diverse regioni chiave a livello globale, incluse quella del Mar Mediterraneo, l’est della Cina, il Mar Giallo e il ghiaccio marino dell’Artico, hanno già superato la soglia massima tollerabile di inquinamento da plastica oltre la quale esiste un rischio ecologico significativo. E, anche se la dispersione globale di plastica in natura fosse eliminata oggi stesso, esiste una “coda lunga” delle microplastiche: la loro concentrazione nel 2050 sarebbe comunque doppia rispetto a quella attuale, con alcuni scenari che prevedono un aumento di 50 volte entro fine secolo. Sono alcuni dei dati emersi in un dossier realizzato dal Wwf, in collaborazione con l’Istituto Alfred Wegener per le ricerche polari e marine (AWI), e nel quale si analizzano oltre 2.590 studi sull’inquinamento da plastica negli oceani, fornendo l’analisi completa degli impatti che sta causando sulle specie e sugli ecosistemi marini. Una vera e propria crisi planetaria, secondo la definizione data dalle Nazioni Unite. Oggi quasi ogni gruppo di specie marine è venuto in contatto con la plastica, con effetti negativi in quasi il 90% delle specie indagate negli studi. “La plastica è entrata non solo nella rete alimentare marina – scrive il Wwf – ma sta impattando significativamente la produttività degli ecosistemi marini più importanti al mondo, come le barriere coralline e le foreste di mangrovie”.

I numeri della crisi planetaria – La massa (in peso) di tutta la plastica presente, 8 miliardi di tonnellate, è il doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme. Nel 2020 si sono prodotte oltre 367 milioni di tonnellate di plastica nel mondo. Il mercato più grande è quello degli imballaggi. Il 60% di tutta la plastica mai prodotta è diventata rifiuto e si sta accumulando nelle discariche o nell’ambiente naturale, soprattutto negli oceani. Si stima che nel mare si siano accumulate ad oggi tra le 86 e le 150 milioni di tonnellate di plastica, mentre quella monouso rappresenta dal 60 al 95% del totale presente in mare. Le aree con la maggiore concentrazione di plastica al mondo, gli ‘hotspots’, sono cinque zone oceaniche definite “isole di plastica’, con circa 5mila miliardi di frammenti di plastica, pari a 250mila tonnellate.

Cosa accade in Europa e nel Mediterraneo – Una recente analisi ha stimato che l’Europa (secondo maggiore produttore di plastica dopo la Cina) rilascia ogni anno 307-925 milioni di rifiuti nei mari, di cui l’82% è plastica (principalmente frammenti di plastica e articoli monouso, quindi bottiglie, imballaggi e sacchetti). La fonte principale della plastica dispersa in mare sono le attività costiere e una gestione inefficiente dei rifiuti, che peggiora ulteriormente nel periodo estivo a causa dell’aumento dei flussi turistici e delle relative attività ricreative. Seguono (con il 22%) le attività in mare con pesca, acquacoltura e navigazione che disperdono nasse, reti, cassette per il trasporto del pesce. Ogni anno finiscono nel Mediterraneo 229mila tonnellate di plastiche. Come se ogni giorno 500 container scaricassero in acqua il loro contenuto. Più della metà di questa plastica proviene da soli 3 Paesi: il 32% dall’Egitto, 15% dall’Italia e 10% dalla Turchia. “La situazione appare ancora più drammatica – scrive il Wwf – se si guarda al dettaglio delle città più inquinanti del bacino mediterraneo”. Tra le prime dieci, cinque sono italiane: Roma, che detiene il primato assoluto, Milano, Torino, Palermo e Genova. Si stima che siano oltre un milione le tonnellate di plastica attualmente presenti nel Mediterraneo, con concentrazioni massime di circa 10,43 chilogrammi per chilometro quadrato. Quantità comparabili a quelle presenti nelle isole di plastica oceaniche.

La comparsa delle microplastiche – Nel momento in cui le plastiche entrano in mare iniziano un processo di frammentazione: le macroplastiche (più grandi di 5 millimetri) diventano microplastiche (da 0,1 micrometri a 5 millimetri), che diventano a loro volta nanoplastiche, rendendo praticamente impossibile il loro recupero. “Anche se la dispersione globale di plastica in natura fosse eliminata oggi stesso – si legge nel dossier – la loro concentrazione nel 2050 sarebbe comunque doppia rispetto a quella attuale”. Stando, infatti, alle proiezioni secondo cui la produzione di plastica raddoppierà entro il 2040, i detriti di plastica nell’oceano quadruplicheranno entro il 2050. Già oggi, d’altronde, se la soglia massima tollerabile di inquinamento da microplastica è di 120mila oggetti per metro cubo, questo limite è stato già superato nel Mar Mediterraneo, nell’est della Cina, nel Mar Giallo e nel ghiaccio marino dell’Artico. È stato calcolato che tra il 21% e il 54% di tutte le microplastiche globali si trova nel Mar Mediterraneo, mentre nel Mar Tirreno si trova la più alta concentrazione di microplastiche mai misurata nelle profondità di un ambiente marino: 1,9 milioni di frammenti per metro quadrato. “Tutti i dati suggeriscono che la contaminazione da plastica dell’oceano sia irreversibile. Una volta dispersi nell’oceano, i rifiuti di plastica sono quasi impossibili da recuperare. Si frammentano costantemente e quindi la concentrazione di micro e nanoplastiche continuerà ad aumentare per decenni” spiega Eva Alessi, responsabile sostenibilità di WWF Italia.

Gli effetti sulla natura – L’inquinamento da plastica causa danni alla vita marina attraverso diversi meccanismi: intrappolamento, ingestione, soffocamento e rilascio di sostanze chimiche tossiche. Una balena, ad esempio, filtra 700mila litri di acqua ogni volta che apre bocca assumendo una quantità enorme di plastiche e microplastiche con una elevata concentrazione di inquinanti: in alcuni mammiferi misticeti che vivono nel Mediterraneo i livelli di inquinanti organici persistenti o additivi della plastica come gli ftalati sono 4 o 5 volte superiori a quelli delle balene che vivono in zone meno contaminate del pianeta. Ma sono 2.150 specie marine che sono venute in contatto con la plastica. Fino al 90% di tutti gli uccelli marini e il 52% di tutte le tartarughe marine ingeriscono plastica. La plastica è entrata non solo nella catena alimentare marina, ma sta impattando significativamente la produttività degli ecosistemi marini più importanti al mondo, come le barriere coralline e le foreste di mangrovie. Nella regione asiatica dell’Oceano Pacifico si stima che 11,1 miliardi di oggetti di plastica (soprattutto attrezzi da pesca) siano intrappolati nella barriera corallina ed è previsto che questa quantità possa aumentare del 40% entro il 2025. Un recente studio sulle foreste di mangrovie dell’isola di Giava in Indonesia ha rilevato come alcune zone siano ricoperte fino al 50% da plastica, con una densità di 27 oggetti di plastica per metro quadrato.

L’inquinamento della catena alimentare – La plastica ingerita dagli organismi marini può risalire la rete alimentare fino ad arrivare nei nostri piatti. Almeno 116 specie animali che vivono nel Mediterraneo hanno ingerito plastica. Il 59% sono pesci ossei, tra cui molte si mangiano comunemente: come sardine, triglie, orate, merluzzi, acciughe, tonni. Il restante 41% è costituito da altri animali marini come mammiferi, crostacei, molluschi, meduse, tartarughe e uccelli. L’assunzione annuale di microplastiche da parte dell’essere umano attraverso il consumo di animali marini è di circa 53mila microplastiche (fino a 27mila microplastiche dai molluschi, fino a 17mila dai crostacei e fino a 8mila dai pesci). “Questa minaccia può essere affrontata solo con un’efficiente soluzione globale e sistemica – denuncia il Wwf – che i paesi possono stabilire adottando un trattato globale all’Assemblea 5.2 delle Nazioni Unite sull’ambiente che si terrà dal 28 febbraio al 2 marzo 2022 a Nairobi”.

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