Nel 1912 Giorgio De Chirico dipinge Melanconia. Con la statua di Arianna al centro di una piazza delimitata da una struttura architettonica ad arcate profonde. Sullo sfondo, in lontananza, due figure. Ma protagoniste sono le ombre, di una parte di città e dei suoi pochi abitanti. Nello stesso anno appaiono anche le prime Piazze d’Italia, piazze prive di vita, con edifici squadrati e lunghi porticati dei quali risaltano le prospettive assurde. Tutto sembra immobile. Il tempo, sospeso. Solitudine, enigma, malinconia e spaesamento le tematiche centrali di una pittura che guarda all’antichità classica e al Rinascimento.

Quando la scorsa settimana sono stati pubblicati i risultati dei test Invalsi, mi sono tornate in mente quelle rappresentazioni pittoriche. Scorrendo le Rilevazioni Nazionali degli apprendimenti relativi all’anno scolastico 2020-21 ho ripensato alle atmosfere di De Chirico. Leggendo che due quattordicenni su cinque (con punte del 50-60% al Sud) entreranno alle superiori con competenze da quinta elementare, mi sono preoccupato.

Non mi sono rasserenato passando ai ragazzi più grandi, che hanno appena superato la Maturità. Dal momento che quasi uno su due è fermo a un livello da terza media, massimo prima superiore. La circostanza che le maggiori criticità riguardino la Matematica e non l’Italiano non cambiano la questione. Semmai la definiscono.

Non mi sono fermato ai dati, naturalmente. Ho letto i commenti, tutti concordi nel rilevare l’incidenza della Dad. Nessun dubbio sull’addossare ogni responsabilità alla Didattica imposta dalla pandemia. Insomma, individuato il colpevole. Temo, in realtà, il presunto colpevole. Perché le ragioni del fallimento forse andrebbero ricercate anche fuori della Scuola che costituisce, in ogni caso, solo il terminale di una catena educativa che si snoda a partire dalla Famiglia. Perché gli apprendimenti si forniscono in classe, ma i fondamenti educativi si impartiscono a casa. Prima dei professori e dopo i maestri, ci sono mamma e papà.

Certo, esistono ancora “delle differenze socio-economico-culturali” soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, come rileva anche l’Invalsi. Ma il problema credo sia più complesso e riguardi l’intero Paese.

I ragazzi almeno quelli delle medie, nella gran parte dei casi vivono una condizione di disagio che finisce per anestetilizzarli, renderli sostanzialmente impermeabili ai tantissimi stimoli che comunque hanno. Involucri da riempire, piuttosto che persone da far crescere. I social, ma anche la tv, ricordano a loro (e a noi) continuamente cosa è importante. Cosa serve. Instagram decreta il successo che però si può raggiungere anche partecipando ad uno dei tanti talent che i palinsesti televisivi offrono. La famiglia? Una entità troppo frequentemente impalpabile. Una piazza sulla quale ci si affaccia, di tanto in tanto. Ma nella quale non si pratica alcuna condivisione. Un luogo neutro nel quale si confondono genitori-bambini e ragazzi-adulti. Anche da questo nasce la solitudine. Lo spaesamento. Che poi emergono a scuola. Producendo risultati sempre più modesti.

“I problemi della scuola li vede la mamma di Gianni, lei non sa leggere. Li capisce chi ha cuore un ragazzo bocciato e ha la pazienza di metter gli occhi sulle statistiche”. Scuola di Barbiana. Lettera a una professoressa racconta una realtà che nel 1967 era viva. Descrive una scuola ed una società che non esistono più. Il capolavoro di Don Milani è archeologia. Quasi in tutto. Globalizzazione e consumismo hanno regalato a moltissimi ragazzi l’ultimo modello di iPhone e abbigliamenti alla moda. Ma li hanno privati di molto altro. Di riferimenti. Modelli. Insegnamenti. Regole.

Così non è soltanto la scuola ad essere diventata inadeguata. La mamma di Gianni ha imparato a leggere. Ma anche, troppo spesso, a disinteressarsi dei propri figli. A lasciarli soli. A renderli spaesati.

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