Mondiali del 1934, 10 giugno, Stadio del Partito Nazionale Fascista, Roma.
Italia – Cecoslovacchia 2-1 (dts)

Angelo Schiavio bascula su se stesso per una frazione di secondo prima di sprofondare sull’erba verde dello Stadio del Partito Nazionale Fascista. Il commissario tecnico Vittorio Pozzo lo osserva da dietro la porta della Cecoslovacchia. E inizia a correre. In un attimo gli è addosso. Poi comincia a percuotere le guance dell’attaccante con le dita delle sue mani spesse. Ancora. E ancora. E ancora. Fino a quando Schiavio non riprende i sensi. La punta del Bologna si gira verso la porta avversaria. Controlla che il pallone sia finito davvero in rete. Poi tira un sospiro di sollievo. Era tutto vero. La finale dei Mondiali del 1934 è il culmine di un evento atteso da una Nazione intera. Dal suo popolo. Ma soprattutto da Benito Mussolini. Ogni altro risultato all’infuori della vittoria era considerato un fallimento. Perché in ballo non c’era lo sport, ma l’immagine stessa del regime. Il Duce aveva acquistato i biglietti al botteghino come un tifoso qualsiasi. Pensava di dover dare l’esempio. Poi una volta entrato allo Stadio i 40mila paganti avevano iniziato a sventolare i propri fazzoletti bianchi. Il resto era stato un tripudio di saluti romani, mascelle volitive, onori alla bandiera. In campo la Cecoslovacchia gioca meglio. Nel secondo tempo passa in vantaggio al 71’ grazie a una rete di Antonín Puč. E poi fa tremare gli azzurri sfiorando il raddoppio. Dieci minuti più tardi l’Italia agguanta il pareggio grazie a una rete dell’oriundo “MumoOrsi. È un gol che cambia il copione della gara. Si va ai supplementari. Schiavio è stanchissimo ma scatta ancora per ricevere il pallone di Guaita, entra in area, fa qualche passo e da 8 metri cerca il palo lontano. Planicka, il portiere reso immortale dal “tuffo a valanga”, è battuto. Schiavio non ha nemmeno il tempo di esultare che perde i sensi. Un po’ per l’emozione. Un po’ per la fatica. L’Italia è campione del Mondo. Il giorno dopo la squadra si presenta a Palazzo Venezia. Ma il Duce non la riceve. È impegnato con l’ambasciatore inglese. C’è un riarmo di cui discutere.

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