Europei del 1968, 8 giugno, Stato Olimpico, Roma
Italia – Jugoslavia 1-1 (L’Italia vincerà 2-0 nella gara di ripetizione)

Angelo Domenghini sistema il pallone sul cerchio esterno dell’area di rigore e inizia a camminare all’indietro. Prova in tutti i modi a restare calmo. Anche se davanti a lui i difensori della Jugoslavia continuano a lamentarsi. Dicono che il contatto fra Lodetti e Pavlović non era stato falloso. E che quella punizione era troppi generosa. A dici minuti dalla fine l’Italia è con l’acqua alla gola. È sotto di un gol. E sta giocando anche male. La Jugoslavia è avanti meritatamente. Più che un colpo di classe gli azzurri avrebbero bisogno di un miracolo. Che arriva davvero. Quando l’arbitro svizzero Gottfried Dienst soffia nel fischietto Domenghini inizia a correre. Il piede sinistro davanti al destro. E poi un passo, due passi, tre passi, quattro passi. Fino a quando il cuoio del pallone non si deforma contro la sua scarpetta nera. La sfera rotola via veloce contro la barriera Jugoslavia. E riesce a trovare l’unica crepa che si è aperta nel muro avversario. Ilija Pantelić non si tuffa neanche. Si limita a indicare con la mano destra i compagni che si sono disuniti. L’1-1 regge anche ai supplementari. Bisogna rigiocare la partita. Due giorni più tardi le due squadre si affrontano ancora a Roma. Valcareggi pesca a mani piene dalla panchina: Rosato per Ferrini, Salvadore per Castano, Mazzola per Juliano, De Sisti per Lodetti e Riva per Prati. E avrà ragione. Le reti di Riva e Anastasi regalano all’Italia l’unico trofeo continentale della sua storia. Finora.

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