L’8 giugno è la Giornata mondiale degli oceani, una ricorrenza che ricorda l’Anniversario della Conferenza Mondiale su Ambiente e Sviluppo di Rio de Janeiro del 1992. Da allora sono passati quasi 30 anni, e nonostante gli impegni presi su carta le condizioni degli oceani non hanno fatto altro che peggiorare. Non solo inquinamento e plastica, i maggiori indiziati sono pesca industriale e acquacoltura, che hanno portato gli ecosistemi marini al collasso.

Per questo motivo, quest’anno Essere Animali ha deciso di lanciare la Settimana degli oceani, una campagna che denuncia la situazione attuale e invita ad adottare scelte alimentari responsabili che permettano agli oceani di rigenerarsi. Oltre a ricoprire con alcuni cartelloni l’intera metropolitana Cairoli di Milano, l’organizzazione ha distribuito un fittizio Corriere del Futuro, datato 2051, che recita: “Tempo scaduto: gli oceani sono morti – Nel 2021 ci avevano avvisati”. Il messaggio è diretto ai cittadini italiani del 2021 che hanno ancora il potere di cambiare il destino del Pianeta.

Secondo la International Union for Conservation of Nature, 1.414 specie di pesci sono attualmente a rischio estinzione, pari al 5% di quelle conosciute. Le cause sono riconducibili a diversi fattori, ma secondo parecchi studi la pesca intensiva giocherebbe il ruolo principale. Molte delle specie a rischio sono comunemente consumate anche in Italia: merluzzo, sardina, anguilla, acciuga, tonno rosso, pesce spada, razza e palombo.

Secondo uno studio diffuso su Nature, la pesca intensiva ha causato l’estinzione del 90% dei pesci predatori, mentre secondo la rivista Marine Policy ucciderebbe 30 mila squali ogni ora. Come se non bastasse, ogni anno negli oceani vengono perse o abbandonate oltre 640.000 tonnellate di reti e altri strumenti da pesca e, secondo il Wwf, queste sono responsabili della morte ogni anno di circa 300mila tra delfini, balene e focene.

L’acquacoltura tuttavia non è la soluzione: anch’essa contribuisce fortemente allo sfruttamento degli stock ittici. Le specie più comunemente consumate in Italia nonché allevate, come orate, branzini e salmone, sono carnivore. Per alimentarle è necessario utilizzare mangimi che contengono farina e olio di pesce, realizzati con i cosiddetti pesci ‘foraggio’, provenienti soprattutto dalla pesca intensiva. Si calcola che una porzione pari a un terzo dell’attuale pesca venga utilizzata per alimentare i pesci negli allevamenti, ma alcuni studi suggeriscono che questa stima possa spingersi fino al 50%.

Fare un passo indietro è diventato indispensabile. In Italia, il consumo di pesce è in media di 31 kg l’anno, una quantità molto più alta della media europea (24,3 kg) e di quella mondiale (20,5 kg). I cittadini italiani hanno indubbiamente un ruolo fondamentale da giocare nella salvaguardia dei pesci e dei mari ed è per questo che la Settimana degli oceani è indirizzata a loro.

Sai quali sono i problemi che affliggono gli oceani e i pesci? Prova il questionario di Essere Animali e scopri in che modo puoi fare la tua parte per cambiare il futuro degli oceani.

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