Se la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi è stata pubblicata, dopo anni di attesa, solo nei primi giorni del 2021, oltre all’incertezza su tempi e modalità di realizzazione, i cittadini continuano a pagare in bolletta oneri aggiuntivi. Sono dovuti alla mancanza di un deposito per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi e lo stoccaggio temporaneo di lungo termine del combustibile esaurito e dei rifiuti a più elevata attività. Perché, nel frattempo, occorre mantenere in sicurezza strutture in realtà da smantellare, adeguare periodicamente i depositi temporanei, trattare continuamente rifiuti immagazzinati da lungo tempo, per non parlare dell’incremento delle tariffe per gestire rifiuti e sorgenti esaurite e, di conseguenza, della spesa per l’utilizzo delle sorgenti in campo medico, industriale e di ricerca. Sono alcuni degli aspetti contenuti nella relazione approvata oggi dalla Commissione Ecomafie (relatori il presidente Stefano Vignaroli, il senatore Pietro Lorefice e la deputata Rossella Muroni) e inviata ai presidente delle Camere, nella quale si ricordano anche i problemi connessi alla progressiva diminuzione degli spazi disponibili per lo stoccaggio e al proliferare di depositi temporanei in tutta Italia per esigenze di carattere industriale, sanitario e di ricerca. Tra l’altro, anche se il Programma nazionale per la gestione del combustibile e dei rifiuti radioattivi è giunto a termine (i ritardi erano costati all’Italia una procedura di infrazione archiviata a febbraio 2020), sono diverse le lacune e le modifiche da apportare, a iniziare da un aggiornamento del quadro normativo.

GLI ORGANI COMPETENTI E LA GESTIONE DEL DECOMMISSIONING – Un primo problema riguarda la mancanza di personale che rischia di non garantire l’operatività dell’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la radioprotezione (ISIN), autorità competente per il controllo e la regolamentazione nel settore. “Sono emersi elementi preoccupanti – scrive la Commissione – su situazioni organizzative e di dotazione di risorse in grado di ledere pesantemente, già nei prossimi mesi, le capacità operative dell’Ispettorato”. Da qui l’appello al Parlamento “chiamato a tenerne conto nel modo più opportuno”. Un altro problema gestionale riguarda la stessa Sogin, società responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi. In passato i programmi di disattivazione degli impianti, di volta in volta prodotti dalla società, non sono stati rispettati e i costi previsti per l’ultimazione di tali attività sono cresciuti nel tempo. Va precisato che il decommissioning di un impianto nucleare rappresenta l’ultima fase del suo ciclo di vita, ma esiste una fase intermedia definita ‘brown field’ (prato marrone), ossia quando tutte le strutture dell’impianto sono demolite e i rifiuti radioattivi condizionati e stoccati nei depositi temporanei, sono pronti per essere trasferiti al Deposito nazionale. L’anno di raggiungimento previsto delle condizioni di ‘brown field’ per tutti i siti era il 2019 nel 2008, mentre in base alle ultime informazioni comunicate da Sogin nel 2020 ora è il 2035. I costi per arrivare a questa fase sono così passati da 4,5 a 7,9 miliardi di euro. “Costi e tempi del decommissioning – spiega il presidente della Commissione Ecomafie, Vignaroli – rischiano però di aumentare se non si risolvono i problemi evidenziati e non si procede celermente nell’iter di realizzazione del Deposito nazionale” che, aggiunge, “porta posti di lavoro, 4mila all’anno per la costruzione e mille per la gestione, investimenti per 900 milioni e, soprattutto, maggiore sicurezza”.

CHI PAGA CRITICITÀ E RITARDI – Nel frattempo chi paga? “La copertura dei costi di disattivazione – ricorda la Commissione Ecomafie – è attuata attraverso una componente tariffaria a carico della bolletta dei clienti elettrici. Di anno in anno le erogazioni variano”. Tra il 2012 ed il 2018 sono stati effettuati prelievi variabili tra i 100 ed i 400 milioni di euro all’anno. I costi associati a ogni anno di ritardo nelle attività di decommissioning, legati al mantenimento in sicurezza dei siti, sono stimati tra 8 e 10 milioni di euro a seconda dell’impianto, senza contare i rimanenti costi fissi della Sogin. “Appare quanto mai opportuna – scrive la Commissione – la messa a punto di un sistema per il monitoraggio trasparente, continuo ed efficace dei sistemi di gestione e del rispetto dei programmi”. Secondo Vignaroli oggi le priorità sono quelle di “realizzare il Deposito nazionale, completare il più rapidamente possibile lo smantellamento degli impianti nucleari e mettere l’autorità di controllo Isin nelle condizioni di operare con la massima efficacia”. E poi ci sono le lacune normative, a partire dai decreti attuativi mancanti (tra questi anche il decreto interministeriale per l’entrata in vigore delle Convenzioni internazionali sulla responsabilità civile nucleare), sia rispetto al recepimento della direttiva europea 2013/59 con il decreto legislativo 101/2020 che apporta rilevanti modifiche e risolve importanti situazioni, “ma contiene ancora errori, introduce alcune incertezze operative” e rinvia a una trentina di decreti applicativi.

LA DISPONIBILITÀ DI SPAZI – Per Vignaroli, inoltre, “serve anche maggiore trasparenza nei dati relativi ai flussi e agli spazi residui”. Da tempo è stato costituito l’operatore nazionale Nucleco (acquisito da Sogin) per la raccolta, il trattamento, il condizionamento e lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività e delle sorgenti radioattive dismesse prodotte da attività medico-sanitarie, di ricerca scientifica e tecnologica e da altre attività non elettriche. È molto importante, ricorda la Commissione, che in attesa del deposito nazionale, vi siano adeguate disponibilità di spazio per i rifiuti radioattivi prodotti in contesti diversi dal decommissioning. A febbraio 2020, Enea ha comunicato alla Commissione che le disponibilità erano di 1.872 metri cubi per rifiuti solidi e liquidi. Disponibilità che dovrebbero aumentare nel medio termine fino a circa 4mila metri cubi, considerando la realizzazione di nuove strutture e ottimizzazioni. “Tale disponibilità di spazio – scrive la Commissione – si basa sul presupposto che operatori continuino a svolgere la propria attività, mentre lo spazio disponibile presso la Nucleco ammonterebbe, nel prossimo futuro, a poco più di mille metri cubi”. Ma non sono disponibili dati ufficiali sulle capacità degli altri operatori autorizzati. In un’audizione di fronte alla Commissione, Enea ha dichiarato di essere “completamente ignara” del flusso dei rifiuti radioattivi generato da quegli operatori autorizzati che non afferiscono al servizio integrato. Proprio il decreto legislativo 101/2020 ha posto le premesse per un tracciamento completo e tempestivo del flusso di rifiuti radioattivi, che dovrà adesso trovare attuazione.

LE SORGENTI FUORI CONTROLLO – Considerazioni a parte meritano le cosiddette ‘sorgenti orfane’ che, anche se con un elevato livello di attività, non sono sottoposte a controlli da parte delle autorità o perché non lo sono mai state o perché, per esempio, sono state abbandonate, smarrite, collocate in un luogo errato, sottratte illecitamente. Non è stato ancora creato un Registro nazionale delle sorgenti e manca un piano programmatico triennale di recupero delle sorgenti orfane, previsti entrambi dalla legge dal 2007. La Commissione ha ricostruito la situazione in alcuni siti a maggiore criticità dall’impianto di cementificazione di rifiuti liquidi Cemex di Saluggia, dove si sono registrati notevoli ritardi e viene seguita l’evoluzione delle attività che porteranno alla solidificazione dei rifiuti liquidi, al deposito Avogadro di Saluggia, fino all’ITREC di Rotondella e al deposito LivaNova Site Management di Saluggia, su cui è in corso un’inchiesta della Procura di Vercelli per l’interramento di fusti. Viene monitorata anche la situazione del deposito Cemerad di Statte. Qui gli interventi di bonifica portati avanti, nonostante difficoltà, imprevisti e aumenti dei costi, hanno dovuto subire di recente una brusca frenata per mancata erogazione di fondi ulteriori. Una situazione che non ha più permesso di garantire alcune attività, tra cui la vigilanza armata h24, necessaria per la sicurezza.

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