Il viaggio del Papa in Iraq è un gesto epocale. Toccherà con mano la sofferenza dei giovani schiacciati dalla strumentalizzazione dell’odio settario e dal malessere causato dall’immobilismo del presente. Chi scrive è musulmano e, come tanti altri correligionari, vede nella visita del Santo Padre e nelle sue parole un sentimento di fratellanza che prende la forma del dialogo islamo-cristiano, di cui padre Paolo dall’Oglio è stato il precursore. Si può dire che Bergoglio ripercorra le orme di Dall’Oglio sul sentiero di Abramo, padre di tutti i popoli e figura di riferimento alla quale propendere per trovare punti di contatto.

Marcerà, il Santo Padre, nei luoghi che più sono stati insanguinati dagli eventi degli ultimi venti anni. Ma nonostante l’eccezionalità di questo viaggio, che vede per la prima volta nella storia un pontefice in questo paese, molte questioni non troveranno in questa visita una risoluzione. La prima è la cessazione degli interessi di paesi terzi che, approfittando delle complicità con i poteri locali e delle tensioni intra-islamiche, portano avanti le proprie agende. Appena atterrato a Baghdad, dopo aver incontrato il presidente della Repubblica, Bergoglio ha parlato alle autorità locali e agli ambasciatori.

“Cessino gli interessi di parte, quegli interessi esterni che si disinteressano della popolazione locale. Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace!” ha esortato, indicando, senza nominarle, quelle potenze regionali che da due decenni approfittano dell’instabilità del paese, come l’Iran e i paesi del Golfo. E’ probabile che nel colloquio che avrà con l’ayatollah Al-Sistani, massima guida spirituale degli sciiti iracheni, Francesco parlerà del dialogo intra-islamico fra sunniti e sciiti, magari proponendosi come mediatore.

Da secoli i cristiani in Medioriente si sono trasformati in negoziatori fra queste due realtà confessionali. Altre volte, invece, sono stati capaci di farsi inglobare dal regime di turno. In questo senso, il Papa sa di trovarsi in un contesto differente, in una cristianità diametralmente opposta da quella occidentale. Parlando nella Cattedrale di Sayidat al-Nejat, ai vescovi Bergoglio ha ricordato di essere “pastori, servitori del popolo e non funzionari di stato. Sempre nel popolo di Dio, mai staccati come se foste una classe privilegiata”. In questo monito va letta la realtà di un cristianesimo, non solo cattolico, che si è fatto ingurgitare dai regimi al potere in nome della sopravvivenza dettata della paura verso il futuro. Non è un caso confinato solo all’Iraq ma è comune a tutto il Medioriente ed è anche esso frutto delle tensioni comunitarie che hanno creato un cristianesimo in trincea.

Ultimo e più grande tema, di difficile risoluzione, è l’assenza di prospettiva verso il futuro che ha come effetto un diffuso malessere fra i giovani. Un pessimismo nel quale affondano le ragioni del fondamentalismo e che non può trovare via d’uscita fino a quando la società civile, “i costruttori di pace” come li ha definiti il Papa, non avranno campo libero.

E’ una sfida epocale quella di Bergoglio, un gesuita venuto dall’Argentina a cercare di portare ristoro nei cuori affranti di una nazione.

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