In Spagna il ministero della Transizione ecologica e della Sfida demografica ha portato alla fine della famigerata ‘tassa solare’ e a un’attenzione particolare (presente anche nel progetto di legge sui cambiamenti climatici) al settore energetico. Si nota la differenza strategica con altri settori, vedi l’agricoltura, affidati ad altri ministeri. In Francia, invece, il Ministero ‘de la Transition écologique et solidaire’, che pure ha promosso le fonti rinnovabili e l’auto elettrica e ha prodotto un piano per le infrastrutture verdi nelle città, ha dovuto affrontare più di un ostacolo, tanto che è stato proprio l’aumento delle accise sui carburanti a provocare l’inizio delle proteste dei ‘gilet gialli’. Cosa accadrebbe, allora, se in Italia il Ministero per la transizione ecologica annunciato da Mario Draghi mettesse mano al taglio dei sussidi dannosi per l’ambiente? Vediamo, allora, cosa è stato fatto di buono e quali errori sono stati commessi nei due Paesi europei che prima di noi hanno visto nascere il ministero per la Transizione ecologica.

IL MITECO IN SPAGNA – In Spagna il Miteco nasce nel 2018 con l’arrivo del premier Pedro Sánchez e assume funzioni che erano dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Energia. E il 2018, tanto per fare un esempio, per la Spagna è stato anche l’anno in cui il nuovo governo ha scritto la parola fine alla controversa tassa solare (complicazioni che scoraggiavano l’installazione di impianti a energia rinnovabile) creata dall’esecutivo di Mariano Rajoy nel 2015. Solo nel 2020 è stato ribattezzato ministero per la Transizione ecologica e la Sfida demografica “per far fronte – spiega a ilfattoquotidiano.it Greenpeace Spagna – ai problemi della Spagna svuotata e del mondo rurale”. Sulla carta, dunque, è il dicastero guidato da Teresa Ribera Rodriguez, promossa nel frattempo vicepremier, a dettare legge in fatto di politica energetica attraverso diverse strutture, come la Direzione generale della Politica energetica e delle miniere e la Sottodirezione generale per le prospettive, la strategia e la regolamentazione dell’energia. Collegati direttamente al ministero sono l’Istituto per la giusta transizione e l’Istituto per la diversificazione e il risparmio energetico (Idae) con il Fondo Nazionale per l’efficienza energetica.

GREENPEACE SPAGNA: “I PRO E I CONTRO” – Ma davvero in questi ultimi anni il ministero ha potuto guidare il Paese verso la transizione? Secondo Greenpeace Spagna, i cambiamenti apportati con il riordino dei ministeri hanno portato “indubbiamente a prendere decisioni strategiche in campo energetico per procedere verso la decarbonizzazione, anche se più lentamente di quanto sarebbe necessario per conformarsi all’Accordo di Parigi, ma nella giusta direzione”. E quando si chiede come sia andata sul fronte organizzativo e delle competenze tra ministeri, la risposta è una conferma di quanto il tema ambientale sia trasversale. “Il problema principale – spiega l’organizzazione – è che, essendo molto limitato al campo dell’energia e, soprattutto, dell’elettricità” la competenza del ministero “esclude alcuni settori che giocano un ruolo molto importante” per il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo del 2015. Un problema ben noto anche in Italia: “Trasporti, Politiche abitative e Agricoltura hanno un proprio Ministero. Questa situazione – spiega Greenpeace – si riflette molto bene nel progetto di Legge sui cambiamenti climatici e la transizione energetica”. E di fatto la proposta normativa del ministero spagnolo per la Transizione ecologica “si concentra principalmente sul settore energetico (per l’Italia sarebbe una svolta, ndr), tralasciando l’impegno a ridurre le emissioni in altri settori che sono anche fondamentali per la decarbonizzazione, come l’Agricoltura”.

In Italia, la deputata LeU e vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera Rossella Muroni cita come fonte di ispirazione proprio il modello spagnolo dove il ministero “ha tra le proprie competenze anche questioni come il divario tra zone rurali e le città. Anche in Italia – spiega a ilfattoquotidiano.it – grandi città e aree metropolitane sono i centri dove si concentrano non solo i residenti, ma anche l’inquinamento e le spinte all’innovazione e al cambiamento”, oltre al fatto che “le aree interne e i nostri oltre 5mila piccoli Comuni sono la spina dorsale del Paese”. “Il nuovo dicastero – aggiunge – permetterebbe di coordinare le politiche per il clima, l’energia, la tutela del territorio e lo sviluppo green con quelle sulle città e contro lo spopolamento delle aree interne”. Perché tra i problemi che il nostro Paese deve superare c’è proprio quello del coordinamento: “In Italia servono 5 anni per autorizzare una pala eolica perché l’iter deve passare da un ministero all’altro, così quando finalmente la installi il rotore che la fa girare è già vecchio”. Per superare questo empasse, il primo passo può essere il ministero della Transizione, ma è un cambiamento che va accompagnato da altre misure. Indispensabili, come dimostra l’esempio francese.

IL MINISTERO FRANCESE – È nel 2017 che il ministero dell’Ecologia con sede a Parigi è diventato ministero della Transizione ecologica e solidale. A guidarlo, il giornalista e conduttore televisivo impegnato nei temi ambientali Nicolas Hulot, fino all’agosto 2018, quando si è dimesso denunciando che le lobby condizionavano l’Eliseo e che molti suoi dossier erano stati bloccati perché, evidentemente, l’ambiente non era priorità del governo di Emmanuel Macron. Qualcosa è accaduto se a novembre 2018 è stato proprio l’annuncio, in nome della fiscalità ecologica, dell’aumento delle tasse sul carburante a scatenare la protesta dei gilet gialli, poi trasformata in una rivolta. In una recente intervista all’Huffington Post lo stesso Hulot, sostenendo che a misure radicali vanno affiancate misure “solidali”, ha dichiarato che l’Italia può far tesoro degli errori commessi in Francia e che la strada del ministero della Transizione ecologica è l’unica possibile. Ne è convinto anche l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, che ricorda come la ‘transizione verde’ sia il primo dei sei pilastri (quel 37% della dotazione totale ancora da raggiungere) del piano di ripresa europeo a cui il Pnrr deve attenersi. “L’idea è giusta, ma necessita di un cambiamento complesso, altrimenti si rischia di replicare gli errori commessi altrove”, spiega Ronchi. C’è da dire che la Francia non poteva contare, così come nessun altro Paese, sulle risorse ora disponibili. “Certo – replica – e ora bisogna spenderle nella giusta direzione”.

LE LEZIONI DA IMPARARE – Per Ronchi il conflitto innescato in Francia dall’impatto della carbon tax e della pressione fiscale sui redditi medio alti è una prima lezione. Ma l’Italia può evitare anche un altro errore dei francesi: “Il riordino non è stato accompagnato da modifiche dell’impianto normativo tali da dare pieni poteri al ministro della Transizione ecologica, come si è visto nella vicenda legata alle misure fiscali. Questo significa che puoi anche esprimere un parere, dire quali sono le priorità, ma non hai l’ultima parola”. Cosa dovremmo fare per evitarlo? “Va risolto il problema del coordinamento delle norme che, al momento, definiscono le competenze sulla base della precedente ripartizione tra ministeri”. In Francia, ricorda Ronchi, il ministero della Transizione ha comunque “lavorato per una promozione incisiva dell’auto elettrica e delle fonti rinnovabili e un piano per le infrastrutture verdi nelle città”. A luglio 2020, poi, c’è stato il rimpasto di governo e da allora guida il dicastero (oggi ministero della Transizione ecologica) Barbara Pompili. Nell’ultima manovra, il bilancio per il ministero è arrivato a 48,6 miliardi (1,3 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente), di cui 15,4 dedicati esclusivamente alla transizione, 16 alla politica abitativa e 8 ai trasporti. E se alla fine dell’anno Macron ha annunciato un referendum per inserire nella Costituzione un riferimento alla lotta al cambiamento climatico e alla protezione dell’ambiente, più di recente la sua proposta di legge sul clima, che dovrebbe aiutare a ridurre del 40% le emissioni di gas a effetto serra nel 2030 rispetto al 1990, ha attirato molte critiche, in primis quelle di 110 ong, che la reputano poco ambiziosa e frutto delle pressioni delle lobby. Un’altra lezione: avere il ministero della Transizione non basta, se non sai (o vuoi) farlo funzionare.

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