Ergastolo per Giovanni Caterino, unico imputato per la strage di mafia di San Marco in Lamis (Foggia), in cui vennero uccisi il 9 agosto 2017 il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito, il cognato Matteo de Palma e i fratelli Aurelio e Luigi Luciani ammazzati perché testimoni involontari dell’agguato. La Corte d’Assise di Foggia ha emesso la sentenza nei confronti del 40enne dopo tre ore di camera di consiglio, condannandolo per i reati di quadruplice omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso e porto e detenzione di armi in concorso. È lui, per l’accusa, il basista del commando armato che ha pedinato sia nei giorni precedenti che nel giorno dell’agguato le vittime designate. “Sembra quasi una vittoria ma non è una vittoria perché mio marito non c’è. Oggi più che mai mi manca morire. Dopo più di tre anni finalmente respiro un po’ di aria pulita”, ha commentato Arcangela Petrucci, la vedova di Luigi Luciani, uno dei due testimoni uccisi.

Il pm della Dda di Bari, Luciana Silvestri, nella requisitoria durata più di due ore aveva chiesto l’ergastolo per Caterino, detenuto dal 16 ottobre 2018 e che si dichiara innocente. Il pm ha ricostruito l’intera vicenda e l’inchiesta: intercettazioni ambientali, tabulati telefonici e analisi Gps sulla Fiat Grande Punto che Caterino ha utilizzato per pedinare Romito. Poi l’agguato a cui lo stesso condannato sfuggì il 18 febbraio 2018 a Manfredonia, voluto dai clan Romito e Moretti della società foggiana per vendicare l’omicidio. Dopo la requisitoria, i legali di parte civile hanno depositato la memoria chiedendo la condanna e la richiesta di risarcimento.

“Questo è un processo indiziario, cioè non c’è una prova rappresentativa diretta come l’arma del delitto, la pistola fumante – ha invece dichiarato il professor Pietro Nocita, legale difensore di Caterino – In questo processo si parla di spunti investigativi, da cui se io non traggo la prova, la prova stessa resta uno spunto. Pur di trovare un soggetto autore di questo fatto che ha molto scosso l’opinione pubblica sono partiti da spunti investigativi, il che significa che io sospetto che lui sia il colpevole però poi non lo dimostro”. E aggiunge: “Il giorno della strage non è dimostrato che l’imputato fosse nella macchina che seguiva il boss Mario Luciano Romito perché non vi è nessuna prova della sua presenza”, ha detto citando “una telefonata che è venuta fuori nel dibattimento che dimostra che lui si trovasse al momento del delitto in un posto lontanissimo dal luogo dell’agguato. È una telefonata attiva che lui ha fatto e si trovava come cella a Manfredonia. Abbiamo accertato, attraverso l’analisi dei tabulati, che c’è stata questa telefonata proprio nell’ora del delitto”. Secondo Nocita, inoltre, il “movente è ipotizzato ma non dimostrato. Lui è stato ritenuto appartenente ad una organizzazione criminale e quindi anche sul movente stiamo parlando di una persona incensurata e quindi non indagata per reato associativo”.

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