Mentre le scuole erano chiuse, gli allievi a casa, i docenti in stand-by o a sbattersi come matti per fare una Dad efficace, tutti gli esperti di pandemia già sottolineavano come la riapertura avrebbe avuto bisogno di più spazi, di una diversa organizzazione della didattica e, soprattutto di distanziamento. Essendo il nostro il “Paese del sole”, i più accorti si spingevano già allora a suggerire anche lezioni all’aperto per quanto possibile.

Era da attendersi che i mesi di chiusura dell’attività fossero dedicati alla predisposizione degli spazi necessari per il rientro a settembre. Tipo semplici tettoie, utili come aule all’aperto e poi, finita l’emergenza, come angoli di cortile per ricreazione nei giorni di brutto tempo. O anche il ripristino di locali abbandonati per calo di iscritti. Forse qualcuno l’ha fatto, ma a leggere le dichiarazioni di sindaci, dirigenti scolastici e sindacati della scuola sembrerebbe che comincino a pensarci solo adesso. Colpa del ministro?

L’unica certezza sembrano essere i nuovi arredi, calati in edifici scolastici campioni di vetustà, inadeguati strutturalmente e di scarsa qualità: un po’ dovunque – con innegabili differenze fra comuni e provincie, dove gli investimenti per nuove costruzioni e manutenzioni di quelle in esercizio non sono mai venuti meno, e altri dove l’edilizia scolastica è abbandonata a se stessa da così tanto tempo che nessuno ci pensa più – le strutture sono fatiscenti, scarsamente curate e manutenute, di dubbia qualità architettonica ed edilizia. Specie gli immobili costruiti a spron battuto tra gli anni ‘60 e gli ‘80 per fare fronte all’esplosione demografica e a quella della scuola di massa.

La situazione delle scuole ce la illustra bene il recente rapporto della Fondazione Agnelli: 32.286 edifici di scuola primaria e secondaria di primo grado, 6.600 istituti superiori, in tutto 39 mila edifici, questo è il patrimonio di edilizia scolastica della nazione. Salvo eccezioni e ordinamenti particolari, i primi sono di proprietà dei Comuni, le scuole superiori delle Provincie/Città metropolitane.

Per due terzi le scuole sono state costruite prima del 1976. Tra il 1958 e il 1983 la grande stagione dell’edilizia scolastica italiana: 800 scuole nuove all’anno in media. Poi il tracollo, con un calo vertiginoso, così che nel 2003 il numero di nuove scuole è sceso sotto le 100 unità l’anno e poi ancora più giù negli anni successivi per non risalire più. Perciò l’8,6% delle scuole oggi in uso presenta almeno un problema strutturale, il 38% ha problemi di isolamento termico, il 37% di zonizzazione dell’impianto di riscaldamento e così via con l’elenco di carenze che producono, fra l’altro, considerevoli maggiori costi di gestione.

Il boom dell’edilizia scolastica di 50 ani fa non è però stato determinato solo dall’aumento della popolazione giovane. Il maggiore fabbisogno di spazi è connesso con la stagione forse più interessante e innovativa della nostra scuola: il tempo pieno nelle elementari, il tempo prolungato nelle medie, l’esplosione dell’istruzione tecnica. Più ore a scuola, più attività, diverse articolazioni dei percorsi di apprendimento richiedevano più spazi per la didattica, mense, palestre, laboratori.

Comuni e Stato investivano pesantemente nell’istruzione assumendo insegnanti, aprendo mense a basso costo e realizzando – i più illuminati e attenti – edifici che fossero di supporto alla scuola di massa e alla necessità di farne un potente strumento di integrazione sociale mediata dalla costruzione di una cultura comune. E funzionò abbastanza bene. Poi più nulla, la lenta decadenza dell’istituzione scolastica, le infinite riforme, i tagli alla spesa, il disinteresse, la dequalificazione, la tutela dei privilegi residui invece della ricerca di futuro.

Tutti, destri e sinistri, a coltivare il “mercato” imbevuti della subcultura del liberismo da barzelletta. Il tutto accompagnato da una politica demografica suicida: sempre meno nascite (politiche per la natalità solo a parole) e sempre meno famiglie immigrate giovani che figliassero al posto degli Italiani, ridando la giusta geometria alla piramide delle età del nostro paese.

Così, le stime demografiche ci raccontano di un 2030 in Italia con 84 giovani 3/18 anni contro i 100 di oggi, dato fra i più bassi dell’Ue (in Spagna saranno 89, in Francia e Regno Unito saranno ancora 100, in Germania 109. Fonte: Eurosat 2019). In un paese che invecchia più degli altri a causa delle sue politiche, le previsioni fanno rabbrividire: nel 2030 ci saranno in Italia 2030 studenti e oltre 40.000 classi di scuola in meno.

Lo studio della Fondazione Agnelli stima in 200 miliardi il costo globale della messa in ordine degli edifici scolastici esistenti: la ristrutturazione ha un costo medio stimato in 1350 euro al mq, la nuova costruzione in circa 2.000 euro al mq.

Impossibile trovare una regola, tuttavia rimettere la scuola al centro dell’attenzione sociale significa anche varare un piano di interventi – in qualche caso abbattendo e ricostruendo, in altri ristrutturando, certamente superando gli standard di mq/studente – che diano il senso di un paese che ha imparato la lezione. Anche quella delle opere utili, quelle che danno lavoro e muovono per davvero il Pil.

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