di Andrey Allakhverdov*

Di recente, alcune vicende ambientali riguardanti la Russia sono state al centro dell’attenzione globale. In primo luogo, c’è stata una delle più grandi fuoriuscite di gasolio nella storia dell’Artico russo. Quindi, si è registrato un preoccupante aumento delle temperature dell’Artico con alcuni picchi da record, fenomeno direttamente collegato ai cambiamenti climatici, causati soprattutto dallo sfruttamento dei combustibili fossili.

Ora, ancora una volta, ci sono incendi in Siberia, la cui violenza sempre più devastante è un’altra conseguenza dei cambiamenti climatici. La storia che vi raccontiamo di seguito unisce tutte queste vicende.

Lo scorso fine settimana Elena Sakirko e Josef Kogotko, che lavorano per Greenpeace Russia, e i giornalisti di Novaya Gazeta Elena Kostuchenko e Yuriy Kozyrev hanno effettuato dei campionamenti per individuare gli effetti degli sversamenti di diesel su un ecosistema fragile e capire se il gasolio, finito nel fiume Pyasina, raggiungerà l’Oceano Artico.

Ma questi campioni sono stati requisiti dalle autorità russe all’aeroporto di Norilsk prima di poter essere analizzati da un laboratorio indipendente. Un deputato del Parlamento di Mosca ha cercato di portarli in un laboratorio, ma il servizio di sicurezza dell’aeroporto di Norilsk, che appartiene alla Norilsk Nickel – la stessa società che scarica nel fiume Pyasina – non lo ha permesso. Alla fine Greenpeace è riuscita comunque a recuperare i campioni, che tuttavia rimangono ancora a Norilsk in attesa di essere inviati al laboratorio per le analisi.

Di fronte a questo comportamento Vladimir Chuprov, Project Director di Greenpeace Russia, si chiede perché “Nornickel”, che sostiene di aver raccolto il 90% del combustibile fuoriuscito, abbia impedito che i campioni raccolti da Greenpeace venissero analizzati.

“In base alle nostre esperienze e conoscenze, sappiamo che in casi come questo al massimo il 10% dei prodotti petroliferi fuoriusciti può essere effettivamente raccolto in un incidente di tale portata. Dati scientifici indipendenti possono aiutare a individuare gli effetti del disastro, mentre nascondere le informazioni porta solo ad una totale sfiducia nelle informazioni ufficiali fornite dalle autorità”, ha detto Chouprov.

E qui la trama si infittisce. Si è scoperto infatti che la fuoriuscita di gasolio più nota non è l’unica possibile minaccia per il lago Pyasino, che è opportuno ricordare essere collegato al Mare di Kara nell’Oceano Artico. Anche un altro impianto di Norilsk Nickel, l’impianto di Talnakh, stava scaricando nei fiumi locali acque reflue, presumibilmente contenenti metalli pesanti e tensioattivi.

I giornalisti e il personale di Greenpeace Russia hanno immediatamente riferito la notizia alla polizia regionale e agli ispettori di controllo ambientale statale, il cui unico commento è stato ammettere che i campioni dovevano essere analizzati in laboratorio. In ogni caso, lo scarico è stato fermato, smantellando immediatamente il tubo di scarico.

Greenpeace ha raccolto ulteriori campioni di acque reflue e, ancora una volta, la spedizione è stata bloccata a Norilsk. Questa volta la sicurezza dell’aeroporto ha fatto riferimento a farraginose procedure burocratiche come la necessità di ottenere permessi speciali da parte di alcune agenzie – enti che hanno detto di essere sorpresi per essere stati coinvolti in tali richieste di autorizzazioni.

Questo è ciò che accade quando un’unica azienda come la Norilsk Nickel è la vera autorità: controlla gli impianti di produzione, le strutture industriali e l’aeroporto della città, dove gli addetti alla sicurezza hanno ammesso apertamente di eseguire gli ordini dell’azienda.

Un mese dopo la prima catastrofica fuoriuscita di prodotti petroliferi nei fiumi locali, l’accesso all’area colpita è ancora limitato. I tentativi indipendenti di ottenere dati sull’inquinamento da petrolio della zona sono bloccati. Anche i giornalisti autorizzati a recarsi nella regione sono soggetti a restrizioni da parte dei servizi di sicurezza locali. Norilsk Nickel e/o le autorità locali stanno cercando di controllare le informazioni che arrivano dalla regione e questo potrebbe nascondere la reale portata del disastro ambientale.

I due casi noti di contaminazione non sono affatto dei casi isolati nella zona. Le immagini satellitari mostrano che molti fiumi intorno a Norilsk siano di vari colori non naturali – dal grigio e verde al beige e rosso. Tutta quest’acqua inquinata potrebbe riversarsi nell’oceano Artico uccidendo la fauna selvatica e devastando gli ambienti naturali per i prossimi decenni.

Invece di investire nel recupero di queste terre riconvertendole ad uso agricolo, Norilsk Nickel sta investendo le sue risorse per bloccare la diffusione di informazioni indipendenti che possano mostrare quanto incautamente l’azienda sfrutti le risorse naturali, e quanto irresponsabilmente tratti le persone che vi abitano e lavorano per questo stesso settore.

Se vogliamo essere in grado di affrontare il cambiamento climatico, che aggrava gli incendi siberiani e aumenta la temperatura nell’Artico russo, dobbiamo essere guidati da scienza e fatti verificabili. Greenpeace ritiene che tutte le informazioni su questo sversamento, e su tutti gli altri casi di contaminazione ambientale, debbano essere rese pubbliche e che le attività del settore debbano essere trasparenti se si vogliono evitare questi disastri e il collasso climatico.

*media coordinator di Greenpeace Russia

Articolo Precedente

Pfas, M5s: “Veneto tace sulle falde inquinate. Bonifiche ferme per Covid, ma cantieri Pedemontana mai interrotti”

next
Articolo Successivo

Orso in Trentino, petizione online del Wwf contro l’abbattimento: raccolte 65mila firme. “Ha fatto ciò che la natura gli ha insegnato”

next