De Stefano, Tegano e Libri. Negli ambienti di ‘ndrangheta, ieri come oggi a Reggio Calabria si parla la loro lingua. Non è un caso che si muovono nella città dello Stretto come nella Milano “da bere”, frequentata da calciatori e personaggi dello spettacolo. Ieri i padri e gli zii, ammazzati nella seconda guerra di mafia e protagonisti di una pace dopo quasi mille morti ammazzati. Oggi i figli, i fratelli e i nipoti discutono sempre degli stessi accordi, della spartizione degli stessi affari e delle stesse fibrillazioni che ciclicamente si registrano all’interno di uno dei più importanti casati mafiosi calabresi. L’operazione “Malefix”, dal soprannome di uno degli arrestati, è scattata stamattina all’alba. De Stefano-Tegano e Libri: 21 persone sono state arrestate dalla squadra mobile e dallo Sco che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dei sostituti della Dda Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Roberto di Palma. “Le cosche di cui si parla- scrive il giudice – pur se si presentano a quadri ridotti e con obiettivi civili, sono appunto quelle stesse che pochi anni prima hanno fatto stragi di uomini e scempio dell’umanità“.

In manette sono finiti i capi storici della cosca di Archi, elementi di vertice della ‘ndrangheta reggina, luogotenenti dei boss e affiliati. Le manette ai polsi sono state girate anche al boss Carmine De Stefano e al fratello Giorgino “De Stefano” che, all’anagrafe, risulta Giorgio Sibio Condello. Quest’ultimo è il giovane rampollo di Archi che si è trasferito alcuni anni fa a Milano. È il fidanzato di Silvia Provvedi, la ex concorrente del Grande Fratello ed ex di Fabrizio Corona. Conosciuto con il soprannome “Malefix”, Giorgino gestisce l’Oro di Milano, la famosa catena di ristoranti che in Lombardia è frequentata da personaggi famosi.

La mentalità imprenditoriale, però, ha le sue basi sempre ad Archi, nella periferia nord di Reggio, il quartier generale della famiglia di ‘ndrangheta. Stando all’inchiesta, Carmine e Giorgio De Stefano (fratelli del boss Giuseppe De Stefano e figli di don Paolino) avrebbero avuto un ruolo importante nel sedare il tentativo di scissione di Luigi Molinetti, detto la “Belva”, e dei suoi figli che volevano rendersi autonomi dalla “casa madre”. In sostanza, prima di essere messo in riga dai boss appena usciti dal carcere, il gruppo dei Molinetti lamentava l’iniqua spartizione dei proventi delle estorsioni e il mancato riconoscimento di avanzamenti gerarchici all’interno dell’organizzazione mafiosa. Per questo, Gino la “Belva” pretendeva la gestione del locale di Gallico.

Gli investigatori sono riusciti a monitorare anche un summit di ‘ndrangheta in cui, oltre a regolare il funzionamento del locale di Archi, i fratelli De Stefano, per paura che i dissidi potessero degenerare in una scissione dagli esiti incerti e pericolosi, hanno investito Alfonso Molinetti, il fratello di Luigi, ritenuto uno dei loro alleati più fedeli. Nell’inchiesta, inoltre, emerge come gli imprenditori prima di avviare qualsiasi attività a Reggio Calabria dovevano chiedere il permesso alla cosca di competenza. Questo conferma quanto certificato, alcuni anni fa, nell’indagine “Meta” che ha fotografato il sistema delle estorsioni e la divisione dei proventi illeciti tra le più importanti famiglie di ‘ndrangheta. Le accuse contestate dalla Dda ai 21 indagati sono associazione mafiosa, diverse estorsioni in danno di imprenditori e commercianti, detenzione e porto illegale di armi. Tutti reati aggravati dal metodo e dalla agevolazione mafiosa. Stando alle indagini all’interno della cosca di ‘ndrangheta De Stefano-Tegano, e tra questa e quella dei Libri, si erano create gravi frizioni sulla spartizione degli ingenti proventi delle estorsioni.

Dalle indagini, infatti, è emerso che ciascun gruppo raccoglieva le estorsioni secondo prassi che non tenevano conto degli accordi in base ai quali i proventi dovevano essere divisi tra le cosche di riferimento sul territorio. Antonio Libri, che per gli investigatori aveva assunto le redini dell’omonima cosca dopo l’arresto dei capi, aveva saputo che in occasione delle festività natalizie del 2017 era stata raccolta da Carmine e Giorgio De Stefano una consistente somma di denaro senza che nulla venisse corrisposto ai Libri. L’episodio riguardava un noto imprenditore della ristorazione, titolare anche di alcuni locali. Antonio Libri aveva quindi informato Orazio Maria De Stefano, esponente di vertice dell’omonima famiglia, ed altri esponenti dei Tegano, organizzando con alcuni di loro un summit per definire nuove e congiunte modalità estorsive e la formazione di un gruppo misto costituito da appartenenti alle due distinte consorterie – una sorta di commissione tecnica – con l’obiettivo di evitare sovrapposizioni e fraintendimenti e provvedere ad un efficiente sistema di rastrellamento estorsivo lungo tutto l’asse del centro cittadino di Reggio Calabria, organizzando anche l’imposizione intimidatoria delle assunzioni da parte dei gestori di attività.

Nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice scrive: “Quelle De Stefano-Tegano non sono solo famiglie mafiose ma sono le famiglie mafiose doc, riconosciute, che hanno rapporti con le altre famiglie mafiose, come emerge dalle sentenze passate in giudicato acquisite. Ma è soprattutto mafia vera perché si ritiene padrona piena ed esclusiva del territorio, con tutti i relativi poteri. E mafia che vive anche del ‘prestigio‘ dei capostipiti mitici, intatto anche con la detenzione, per come emergente dalla serie di dichiarazioni incrociate di collaboratori che dipingono prestigio, alleanze, potere ricattatorio e capacità e possibilità di comunicare determinazioni dal carcere”. Il magistrato ricostruisce come in “molti processi è emerso dai dichiarati dei collaboratori come essi, nelle fasi detentive precedenti alla collaborazione stessa, fossero stipendiati dalle organizzazioni ed emerge, dalle intercettazioni, come il carcere fosse un luogo di aggregazione e come si tornasse subito attivi all’uscita”. E “la sottolineatura – prosegue – è utile solo per comprendere la forza delle associazioni, che non è costituita solo dai soggetti intercettati o pedinati o in libertà ma anche dai detenuti, con il loro peso, con il prestigio che loro dà il carcere e con quell’aspettativa di un pronto rientro in campo, con la scarcerazione, che essi danno, e consentono sia fondata, all’associazione”. L’ordinanza considera il dato come “significativo per cogliere nel loro complesso le associazioni e per ribadire e comprendere come le cosche di cui si parla, pur se si presentano a quadri ridotti e con obiettivi civili, sono appunto quelle stesse che pochi anni prima hanno fatto stragi di uomini e scempio dell’umanità“.

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