In un momento in cui sempre più forte si leva la voce, anche dei medici, affinché dalla crisi del Covid-19 si esca nel modo più sensato possibile con soluzioni a lungo termine che pongano rimedio alla profonda crisi economica – ma senza compromettere ulteriormente gli equilibri della natura – appare a dir poco paradossale che si approfitti della crisi per portare invece avanti progetti scellerati e grandi opere inutili che non potranno che aggravare la situazione da tutti i punti vista, ambientale, sanitario e socio-economico.

Già avevo paventato questi rischi in altro post, ma direi che la realtà supera la fantasia e gli esempi sono numerosi. Basta accennare all’ampliamento dell’aeroporto di Firenze, benché già bocciato dal Consiglio di Stato, o al progetto “Terminillo Stazione Montana (TSM)” per nuove piste da sci in provincia di Rieti, a 70 km dalla Capitale. Proprio su quest’ultimo vorrei soffermarmi perché, in piena emergenza economica, l’idea che si possano investire per questo progetto – al vaglio della Regione Lazio – ben 20 milioni di euro di soldi pubblici (di cui 9 già spesi nella progettazione e in rifacimenti di una parte degli impianti di sci) è a dir poco sconcertante; per non parlare del paradosso di collegare valli e fare piste da sci in Appennino nel corso della crisi climatica in atto e delle tante criticità ad essa collegate. Ai 20 milioni di euro iniziali ne andrebbero poi aggiunti almeno altri 30 da parte di privati che ancora non si sono palesati.

Il progetto di ampliamenti sciistici in questa area fu già ripetutamente bocciato dalla Regione Lazio, ma di recente è stata riproposto dalla Provincia di Rieti con minime modifiche “cosmetiche”. Ora si chiama TSM2, ma questo restyling non elimina affatto le tante criticità ambientali, paesaggistiche e soprattutto quelle relative alla sostenibilità economica dell’investimento pubblico, più volte denunciate.

Si pensi che solo per unire i due bacini di Pian de Valli (Rieti) e di Campo Stella (Leonessa) sono previste 5 seggiovie quadriposto, 2 biposto con relative 14 stazioni di servizio, 2 nastri trasportatori, piste da sci della larghezza di 30 metri, una serie di skiweg che permetteranno di sciare su piste “normali” per non più di 15 minuti. TSM2 non sarebbe poi certo in concorrenza con le vicine stazioni abruzzesi, come si vorrebbe far credere, data anche l’assenza di una strada idonea, visto che l’attuale Salaria, che collega Rieti con la Capitale, è già totalmente inadeguata sia al traffico pendolare che commerciale.

Quanto sopra comporterebbe una devastazione inaudita, soprattutto nell’Alta Vallonina (Leonessa), dove già esistono grossi problemi di messa in sicurezza del tracciato soggetto a frane e valanghe, nonché l’abbattimento di circa 17 ettari di faggeta protetta dalla Comunità Europe, la costruzione di rifugi, parcheggi, opere varie e l’installazione di impianti artificiali di innevamento, indispensabili per la mancanza di precipitazioni nevose. Non essendoci acqua sorgiva, verrebbero creati due enormi bacini da riempire grazie a pompe attraverso chilometri di tubazioni, con grossissimi consumi di elettricità e soprattutto di acqua, risorsa sempre più scarsa e preziosa a causa della minor piovosità per i cambiamenti climatici in atto. I progettisti inoltre sembrano non considerare che gli inverni sempre più miti non garantiscono le temperature necessarie per la produzione della neve artificiale, il cui costo, per una singola stagione sciistica, sarebbe esorbitante.

Poco significative le ricadute occupazionali previste:­ a regime, si prevede l’assunzione di 17 dipendenti e 87 stagionali; ogni nuovo posto di lavoro a tempo indeterminato assorbirebbe ben 2,9 milioni di euro, ben oltre i valori medi nazionali riferiti a progetti co-finanziati (circa 56mila euro/per nuovo occupato). Addirittura “fantasiose” le proiezioni occupazionali indirette che prevedono per ciascuno dei 17 occupati a tempo indeterminato la creazione di oltre 50 occupazioni collaterali.

Ancora una volta si trova la scusa della “valorizzazione” delle aree interne, ma una vera “valorizzazione” ci può essere solo grazie a progetti davvero sostenibili sia dal punto di vista ambientale che economico, non certo tramite devastazione e sperpero di denaro pubblico. Perché invece non investire gli stessi soldi in cura del territorio, senza distruggerne la bellezza, costituita da boschi, montagne, praterie, habitat? Questo sarebbe un concreto incentivo allo sviluppo socio-economico della montagna, attraverso un turismo “verde”, praticabile tutto l’anno, senza nuovo consumo di suolo, restaurando quello che già c’è e non puntando sulla “monocultura” dello sci.

Dare lavoro sì, ma non agli speculatori, ai ruspisti e a coloro che tagliano boschi, bensì ad operai forestali che possano intervenire sull’assetto idrogeologico del territorio, sul restauro delle foreste degradate (così diffuse anche in provincia di Rieti), sull’ampliamento delle superfici forestali e sulla sentieristica ecc. Le idee non mancano e mi auguro che l’ampio fronte di cittadini ed associazioni che fino ad ora sono riusciti ad evitare lo scempio, e che anche in questa occasione sono scese in campo, ancora una volta abbiano la meglio e riescano a fare prevalere il buon senso.

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