Chi pensa alla gruviera delle Alpi Apuane (200 cave circa in attività) crede che il marmo estratto venga indirizzato nei settori dell’edilizia, oppure a maestri scultori. Pensa alla Piazza dei Miracoli di Pisa o alla Pietà di Michelangelo. La realtà è molto più prosaica e meno poetica: buona parte del marmo di Carrara finisce in processi industriali e non ultimo nei dentifrici.

Infatti il business oggi – anzi da qualche decina di anni – è il carbonato di calcio, il cui utilizzo aumentò esponenzialmente quando Raul Gardini vinse un appalto Enel per i filtri destinati alle centrali a carbone, filtri realizzati appunto in carbonato di calcio.

Ed è così che quello che un tempo era lo scarto di lavorazione del marmo oggi è il principale business: infatti circa il 75% dell’estratto nelle cave è carbonato di calcio, il 25% marmo. E chi più ci guadagna dal carbonato non è neppure un italiano, bensì la multinazionale svizzera Omya.

Davvero sembra incredibile che una materia così pregiata ed apprezzata nel mondo vada a finire in briciole e magari sui nostri spazzolini da denti, posto che il carbonato di calcio è uno degli ingredienti dei dentifrici. Così come appare incredibile che la perforazione di queste montagne continui nonostante due strumenti di tutela: il piano paesaggistico e il parco.

Il piano paesaggistico, proposto dall’allora assessore Anna Marson su pressione della società civile, prevedeva un consistente ridimensionamento dell’attività di cava, ma esso venne completamente stravolto da una pesante azione di lobby dei cavatori. Il Parco delle Apuane, invece, che fu istituito su grosse pressioni da parte di speleologi, escursionisti, alpinisti, è quasi una macchietta, anzi, è a macchie, di leopardo: tutela tutto ciò che è fuori dell’attività di cava.

Un parco anomalo, tipicamente all’italiana: basti guardare la barzelletta dell’area protetta nell’isola d’Elba. E dire che in sovrappiù ci sarebbe pure il riconoscimento Unesco di geoparco, il Geoparco delle Alpi Apuane.

Certo, negli anni qualcosa si è mosso a livello di sensibilità della popolazione. Ne è testimonianza il movimento nato nel 2009 per opera di Eros Tetti Salviamo le Apuane. Un movimento che ha prodotto non solo un Manifesto per le Alpi Apuane, ma ha altresì redatto un vero e proprio piano, il Pipsea – Piano Programma per lo Sviluppo Alternativo per le Apuane.

Una proposta partita dal basso redatta insieme ad esperti di vari settori che propone un futuro sostenibile per questa catena montuosa. In sintesi, il piano divide il territorio delle Apuane in tre zone. Una zona da salvaguardare integralmente, non ancora toccata dalle cave; una seconda zona, già parzialmente compromessa, in cui si andrebbe verso una conversione delle attività di cava, con lo sviluppo di attività agricole ed artigianali; una terza zona in cui l’attività di escavazione continuerebbe anche se votata principalmente alla trasformazione in loco.

Pur riducendo le attività di cava, il piano prevedrebbe comunque di salvaguardare i posti di lavoro attuali un po’ continuando l’attività e un po’ ripristinando il territorio. Con il piano si creerebbe un flusso turistico legato al marmo, come ad esempio un museo del marmo (che non esiste), che potrebbe catturare anche una parte del movimento turistico delle contigue Cinque terre.

Ma si imporrebbe anche un piano per la sicurezza per preservare la salute dei lavoratori: qui abbiamo un incidente in cava ogni due giorni. Peccato che nessuna forza politica lo abbia mai seriamente preso in considerazione, nessuna forza, né di sinistra, né di destra e neppure il M5S di cui fa parte il sindaco di Carrara, quel M5S che nel 2012 si diceva fermamente intenzionato a fermare il disastro.

Eppure, formalmente, la regione Toscana fa della tutela del paesaggio il suo punto di forza. Forse, come sempre, non si interviene con decisione per difendere i posti di lavoro? Come riporta Internazionale citando un operaio in pensione: “Adesso i sindaci si stracciano le vesti per i lavoratori del lapideo, ma in tutta la provincia è un miracolo se contano ancora duemila occupati con l’indotto e sono disposti a perdere la ricchezza delle montagne e dell’acqua, a sborsare cifre colossali per il continuo ripristino del dissesto prodotto dall’escavazione, dai trasporti su camion e dalla strozzatura della rete fluviale, a mettere a repentaglio la vita delle persone sotto le alluvioni e le frane pur di salvarli: chiediamoci come mai.”

Il disastro continua nel silenzio dei partiti politici (che non stupisce) e dei media di regime. A tale proposito, esemplare è stata la puntata di Geo&Geo del 28 aprile scorso, che dedicava un servizio proprio alle Apuane, un vero e proprio panegirico delle attività di cava e della lavorazione del marmo che – a vedere la trasmissione – sembrerebbe l’unico utilizzo che deriva dagli scavi: “Le cave sono uno spettacolo unico al mondo… è impossibile non rimanere sorpresi e affascinati dallo spettacolo che si apre davanti ai nostri occhi”. Appena un accenno agli ambientalisti “che vorrebbero preservarne la bellezza”. Zero sulla realtà di quel 75% che finisce nell’industria come carbonato di calcio. E Geo&Geo sarebbe la trasmissione della Rai dedicata all’informazione ambientale…

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