“Graviano continua il suo gioco di dire e non dire”, così l’avvocato Antonio Ingroia che rappresenta i familiari dei due carabinieri uccisi nel gennaio 1994 e che si sono costituiti parte civile nel processo “‘Ndrangheta stragista” che vede imputati Giuseppe Graviano e Rocco Filippone, l’uomo dei Piromalli, commenta la deposizione fiume in aula del boss di Brancaccio. “Manda messaggi in modo trasversale a più mondi, sia ambienti interni che esterni – aggiunge Ingroia – Li manda alla politica, li manda al mondo di sua provenienza, della mafia, e li manda anche a quel mondo dell’area grigia che con la mafia spesso ha fatto accordi indicibili. Del resto sullo sfondo di questo processo c’è la trattativa Stato-mafia e lui ne sa qualcosa. Quindi anche a quegli ambienti manda messaggi. È chiaro che in quegli anni si era realizzato un momento di incontro tra poteri criminali e poteri legittimi, si sono stretti nuovi patti e ogni volta che un processo entra in quelle vicende rischia di aprirsi il vaso di pandora. Ma questo vaso di pandora non si apre mai perché chi è custode di questi misteri li usa come sta facendo Graviano per i propri conflitti, per i propri messaggi, per i propri obiettivi e strategie, non per accertare la verità”. Cosa vuole da Berlusconi? “Lui usa il termine tradimento e quindi cerca quello che dal suo punto di vista è un risarcimento per patti che sono stati rispettati. Ancora una volta la storia della mafia è la storia di patti incofessabili dove c’è sia la responsabilità del livello criminale sia la responsabilità di altri livelli che della criminalità si sono avvalsi. Spesso il profilo criminale ha pagato per tutti ed è chiaro che lui cerca una via d’uscita con un sistema nuovo, per pubblici proclami”.