Ci sarà un nuovo processo di secondo grado per l’omicidio di Marco Vannini, il ragazzo di vent’anni ucciso da un colpo di pistola mentre era in casa della sua fidanzata Martina a Ladispoli, sul litorale romano, il 17 maggio 2015. Lo ha deciso la I Corte penale della Cassazione, disponendo un appello bis per tutta la famiglia di Antonio Ciontoli, padre della fidanzata del ragazzo e principale imputato nel processo per la morte del ventenne.

Torneranno in aula, dunque, anche Maria Pizzillo, moglie del sottufficiale della Marina militare distaccato ai servizi segreti (e sospeso dal servizio in seguito alla vicenda giudiziaria) e i figli Federico e Martina. Gli ermellini hanno accolto così la richiesta della procura generale secondo cui si trattò di un omicidio volontario con dolo eventuale. Perché la morte di Marco, come sostenuto dalle consulenze mediche (anche della difesa), si sarebbe potuta evitare ma, invece, è stata causata non solo dal colpo esploso, ma anche dai ritardi nei soccorsi, dovuti a loro volta a una serie di bugie e depistaggi da parte, in primis, di Antonio Ciontoli. Il cuore di Marco ha continuato a pompare sangue fino alla fine.

Ascoltata la sentenza, i genitori del ragazzo, stremati da anni di battaglia che si sono sommati al dolore per la tragedia, sono usciti dall’aula esultando e abbracciando i familiari presenti al Palazzaccio. “Non ci speravo più. Non ci posso ancora credere – ha commentato la mamma di Marco, Marina Conte – sono troppo felice. Marco ha riconquistato il rispetto e la giustizia ha capito che non si può morire a vent’anni”. Assente durante la pronuncia, Antonio Ciontoli. La sentenza è arrivata al termine di una giornata di tensione. In udienza anche l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta. “Sono qui per esprimere vicinanza alla famiglia di Marco. Come sempre ho fatto anche in passato. Spero nello stesso esito nel quale confidato i familiari di Marco” ha dichiarato in mattinata. In strada, fuori dalla Cassazione, manifestanti si sono radunati per chiedere ‘Giustizia per Marco’.

IL RICORSO IN CASSAZIONE – Ad aver presentato reclamo ai supremi giudici sono stati il sostituto procuratore della Corte di Appello di Roma, Vincenzo Savariano e i genitori di Marco Vannini, Marina Conte e Valerio Vannini, contrari alla riduzione di pena arrivata in appello, il 29 gennaio 2019, in favore di Antonio Ciontoli. L’uomo aveva ottenuto in secondo grado la riduzione della condanna emessa dal Tribunale di Roma il 18 aprile 2018, da 14 a 5 anni di reclusione. In appello l’omicidio volontario era stato derubricato in omicidio colposo. Una sentenza che aveva suscitato molte polemiche. Sia in primo che in secondo grado, invece, erano rimaste immutate le condanne per omicidio colposo a tre anni di reclusione ciascuno per Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina Ciontoli. Il procuratore generale, in secondo grado, aveva chiesto 14 anni di carcere per tutta la famiglia finita sul banco degli imputati e la conferma dell’assoluzione di Viola Giorgini, fidanzata di Federico.

LA RICOSTRUZIONE DEI CIONTOLI – Secondo la versione fornita dai Ciontoli, Marco Vannini si trovava in casa della fidanzata e si stava facendo un bagno nella vasca in presenza di Martina, quando entrò il padre della ragazza per prendere le sue armi da una scarpiera. A quel punto Martina sarebbe uscita e Marco, insaponato e bagnato, avrebbe chiesto di vedere le pistole. Per quanto riguarda le modalità dello sparo, in una prima versione, sostenuta fino all’interrogatorio del 2 ottobre 2015, Ciontoli ha raccontato che l’arma, una Beretta calibro 9, gli stava scivolando quando partì il colpo. In una seconda versione, sostenuta fino al processo, Ciontoli ha detto di aver scarrellato, ossia portato il colpo in canna, per gioco, nella convinzione che l’arma fosse scarica. Quel colpo, però, raggiunse Marco. Stando alla ricostruzione dei fatti elaborata dalla Corte di Appello, Ciontoli non avrebbe voluto uccidere Vannini e nel suo atto non ci fu “dolo”, ma poi il sottufficiale evitò “consapevolmente e reiteratamente l’attivazione di immediati soccorsi” attuando una condotta “odiosa e riprovevole” per “evitare conseguenze dannose in ambito lavorativo”. I giudici di secondo grado avevano attenuato anche la responsabilità dei suoi familiari in quanto “difettavano della piena conoscenza delle circostanze” di quanto era accaduto a Marco.

L’ACCUSA – Per l’accusa, invece, non c’è mai stato dubbio sul fatto che Marco fu lasciato per tre ore agonizzante con la complicità dell’intera famiglia Ciontoli, tanto che le sue condizioni peggiorarono fino a morire. Sulla dinamica dei fatti che avvennero quella sera restano invece perplessità, alimentate anche dalle intercettazioni ambientali e telefoniche sulle utenze degli imputati. Anche quelle mai utilizzate nel processo e che la famiglia Vannini ha potuto ascoltare solo la scorsa estate. Di certo, anche il mancato sequestro della casa dei Ciontoli non ha aiutato a fare chiarezza.

I DUBBI CHE RESTANO – I primi dubbi riguardano il luogo dello sparo. Secondo la difesa il bagno è l’unico compatibile con i riscontri probatori. I genitori di Marco contestano: “Mio figlio non avrebbe mai fatto entrare il padre della fidanzata mentre si faceva il bagno. Non lo faceva neppure con noi”. E poi l’arma: la difesa sostiene che Ciontoli non era esperto di armi, ma parliamo di un ex sottufficiale della Marina distaccato ai servizi segreti. Anche le tracce di polvere da sparo aprono il campo a diverse interpretazioni: i legali di Ciontoli sostengono che in bagno c’erano solo Marco e Antonio, ma quelle tracce sono state trovate anche su altri componenti della famiglia. Molto clamore hanno suscitato le intercettazioni ambientali registrate in caserma il giorno dopo la tragedia e, in particolare, le parole della fidanzata di Marco che dice di essere stata nel bagno e di avere visto il padre che puntava la pistola verso Marco. Secondo i legali di Ciontoli, Martina stava solo rivivendo la scena che le era stata raccontata al padre, come se la potesse immaginare. E poi ci sono i racconti dei vicini, che parlano di un litigio tra i ragazzi poco prima dello sparo.

LE BUGIE RACCONTATE – La ricostruzione dell’accaduto è stata resa ardua soprattutto dalle bugie raccontate da Antonio Ciontoli per sua stessa ammissione. Secondo la difesa, per una sottovalutazione di ciò che stava avvenendo. Per i Vannini, con l’obiettivo di conservare il posto di lavoro. In un primo momento Ciontoli ha dichiarato ai soccorritori che Marco era scivolato, poi che si era ferito con un pettine a punta cadendo nella vasca e che era vittima solo di un attacco di panico. Una prima telefonata al pronto soccorso è stata fatta venti minuti dopo lo sparo ed è poi stata annullata. “Sembrava stesse meglio – ha raccontato l’ex sottufficiale – e mi sono convinto ancora di più di poter gestire la cosa”. Le consulenze mediche dicono che Marco Vannini ce l’avrebbe fatta se l’ambulanza fosse arrivata. Cinquantuno minuti dopo il colpo, la seconda telefonata, ma agli operatori Ciontoli continuò a mentire, dicendo che il ragazzo si era ferito cadendo dalla vasca e bucandosi con un pettine a punta. Una telefonata drammatica, durante la quale si sentivano la voce di Marco e le sue urla di dolore. Per tutto il processo la difesa ha fatto cadere ogni responsabilità sull’ex sottufficiale: nessuno si sarebbe reso conto della gravità della situazione. Ma l’accusa dubita, per esempio, che nessuno dei componenti della famiglia si fosse reso conto delle bugie raccontate dal padre nel corso della seconda telefonata ai soccorritori, quella in cui parla di una ferita causata da un pettine. Soccorritori a cui non fu detta la verità neppure una volta giunti a casa Ciontoli. A colpire Marco alla spalla destra era stato un colpo di pistola, che ha attraversato il corpo del ragazzo e, dopo aver perforato polmone e cuore, si è conficcato nella terza costola sinistra. Ma Ciontoli ha ammesso l’esistenza di uno sparo, che sarebbe partito per sbaglio, solo una volta giunto al Punto di primo soccorso. Chiedendo al medico di turno se fosse possibile non divulgare la notizia dato che lavorava alla Presidenza del Consiglio.

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