Il clan degli Spada di Ostia è un sodalizio che “si connota come di stampo mafioso per il sistematico ricorso a mezzi violenti e intimidatori tali da generare un diffuso stato di assoggettamento e di omertà”. Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise di Roma nelle motivazioni della sentenza emessa il 24 settembre scorso nel maxiprocesso all’organizzazione capitolina. Il processo si è conclusa con 17 condanne e 7 assoluzioni e i giudici hanno riconosciuto anche l’associazione a delinquere di stampo mafioso.

All’ergastolo erano stati condannati Carmine Spada, detto Romoletto, Roberto Spada, già condannato per la testata a Ostia al giornalista della Rai Daniele Piervincenzi, e Ottavio Spada, detto Marco. “Lo stampo mafioso – scrivono i giudici – del sodalizio è rafforzato oltre che dai legami con la mafia siciliana dalla presenza di alcune tipiche connotazione dei contesti mafiosi come il rispetto dovuto ai capi e in genere tra gli associati e nei confronti dei membri delle famiglie alleate”.

Nelle motivazioni si legge come sia “palese che il sodalizio capeggiato dagli Spada rivesta indiscutibile stabilità e durevolezza stante l’ampio arco temporale del dispiegarsi delle sistematiche condotte di spoliazione, prepotere, violenza, infiltrazione, intimidazione e presenti una solida organizzazione: stanti una distribuzione dei ruoli e dei settori di competenza piuttosto definita con la presenza anche di batterie”. Secondo i giudici gli esponenti del clan potevano contare su “una capillare infiltrazione anche nei settori dell’amministrazione della polizia, nei vertici del Municipio di Ostia. Una infiltrazione tale da assicurare una presenza di informatori anche presso la struttura ospedaliera del Grassi come emerso dai timori riferiti da soggetti feriti che hanno preferito non sottoporsi alle cure. Una struttura, anche di controllo, tale da assicurare un flusso continuo e puntuale di introiti illeciti”.

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