La richiesta di ArcelorMittal di risolvere il contratto con il governo italiano per la gestione dell’ex Ilva presenta “delle inquietanti e sinistre analogie con l’operazione di acquisizione dell’azienda siderurgica di Hunedoara compiuta da ArcelorMittal in Romania una quindicina di anni fa, e che si era in realtà risolta in una devastante deindustrializzazione dell’area, condannando la locale forza lavoro ad una massiccia e graduale emigrazione nel resto d’Europa”. È l’ultima accusa mossa dai commissari straordinari dell’ex Ilva di Taranto nei confronti dei vertici della multinazionale. Nelle 86 pagine che compongono la memoria depositata al giudice Claudio Marangoni chiamato a decidere se accogliere o meno l’istanza di recesso del contratto di affitto degli stabilimenti italiani presentata nei mesi scorsi dai legali della multinazionale, i commissari hanno ripercorso le precedenti acquisizioni fatte dal gruppo franco indiano. Oltre all’esperienza in Romani hanno ricordato quella di Liegi spiegando che “anche in questo caso, il passaggio dello stabilimento di Liegi sotto il controllo del gruppo ArcelorMittal (conclusosi di fatto nel 2006) era stato accompagnato da trionfalistiche dichiarazioni di ammodernamento e riconversione dell’utilizzo delle più moderne tecnologie, nonché di rivitalizzazione della comunità locale attraverso partnership strategiche e creazione di nuovi posti di lavoro”, ma si è rivelato “un processo di progressiva dismissione che ha sostanzialmente cancellato lo stabilimento di Liegi”.

Nel documento, i legali della struttura commissariale hanno puntato il dito contro ArcelorMittal anche sulle mancanze dal punto di vista ambientale sostenendo che “ArcelorMittal non ha portato avanti la realizzazione del Piano Ambientale nei tempi e con gli investimenti programmati”. La multinazionale, secondo i Commissari, non avrebbe “eseguito il programma di manutenzione concordato nell’ambito del Contratto in modo coerente alle migliori pratiche di esercizio” e a dimostrarlo ci sarebbe un documento inviato proprio da ArcelorMittal con pec a Ilva in As lo scorso 25 settembre dal quale emerge che “molte delle attività programmate – scrivono i commissari – per il periodo tra novembre 2018 e aprile 2019 non erano state eseguite o erano state effettuate solo in parte”.

A questo si aggiunge anche la cattiva gestione degli impianti: “ArcelorMittal non ha operato gli impianti – si legge nella memoria – secondo le dovute cautele funzionali a preservarne efficienza e longevità: anziché utilizzare tutti gli altiforni in via continuativa, da molti mesi essa li utilizza infatti a turno, mantenendone normalmente in operatività non più di due contemporaneamente”: una modalità ricca di “continue fermate e rallentamenti” che secondo gli esperti del Rina “compromette la vita tecnica dell’impianto elevando sensibilmente il rischio che, operazioni di fermata impianto lunghe settimane o mesi, non consentirebbero nessun riavviamento dello stesso senza un altissimo e non proponibile rischio di occorrenza delle problematiche”. Ma anche dal punto di vista economico, i commissari non hanno risparmiato aspre critiche: ArcelorMittal “risulta poi gravemente inadempiente ad obblighi economici” poiché a distanza di quasi un anno dall’acquisto dei cosiddetti “beni esclusi”, cioè quelli che non facevano parte del contratto di gestione dell’ex Ilva, Arcelor non ha ancora versato la somma di ben 82 milioni euro. Non solo. “Alla scadenza prevista per il novembre 2019 ArcelorMittal non ha proceduto a versare il canone trimestrale contrattualmente dovuto nella misura di Euro 45 milioni trimestrali”. Eppure nei suoi documenti ArcelorMittal ha affermato di aver adempiuto “esattamente al Contratto”: dichiarazione che per i Commissari “suona per la verità come beffa irrispettosa”.