Il meraviglioso parco delle Cascine a Firenze, un monumento storico e naturale tutelato, è segnato da anni da un terribile degrado: che appare anche più intollerabile quando si torna da viaggi a Londra, Parigi o anche a Madrid, i cui giardini pubblici sono luoghi incantati al confronto. Al contrario, le amministrazioni fiorentine sono, da decenni, incapaci di tenere decentemente questo fondamentale spazio di tutti.

Una cosa, però, alle Cascine è sempre stata proverbialmente fiorente: la prostituzione. E anche la notizia di queste ore, in qualche modo, associa Cascine e commercio di sé: anche se in questo caso a prostituirsi è il parco stesso, ceduto pro tempore al miglior offerente dall’amministrazione comunale.

Per un mese, dal 25 novembre al 22 dicembre, una vasta area del parco sarà affittata a Gucci, che vi sta montando le strutture dove il 12 dicembre organizzerà una festa privata. Una cittadina di Firenze ha sollevato il problema dal basso, lanciando una petizione online che ha già raggiunto la quota di 500 firme, e in cui si legge: “Le Cascine, patrimonio dei cittadini di Firenze, vengono svendute dalle istituzioni per fare da sfondo ad un evento mondano dove sarà ostentata e celebrata l’onnipotenza del lusso e del denaro di chi può comprare per un mese l’intero parco e soprattutto può privarne l’uso ai cittadini rimarcando in modo volgare e inaccettabile la disuguaglianza sociale. Un’altra occasione in cui le istituzioni si mettono al servizio del potere e del denaro non tutelando in alcun modo e disinteressandosi totalmente dei diritti dei propri cittadini”.

A questo punto, l’opposizione di sinistra in Consiglio comunale ha voluto vederci chiaro, e il quadro che ne è uscito non è dei più edificanti: “Dando un occhio al provvedimento dirigenziale della Mobilità ci sono una serie di dettagli che non ci tornano e ci siamo già mossi per avere tutte le risposte del caso. Un allestimento che parte dal 21 novembre, che necessita di provvedimenti di viabilità, concessi il 25 di novembre, con un provvedimento in cui esplicitamente si afferma come a quella data manchino ancore la autorizzazioni di occupazione di suolo pubblico, che sarebbero previste dalla legge come condizione preliminare, come dice lo stesso atto del Comune, d’altronde. Ci chiediamo inoltre se sia stato chiesto un parere alla Soprintendenza e vogliamo capire di quali cifre si stia parlando. Oltre a tutto questo restano almeno due dati politici per noi inaccettabili: da una parte la scelta di rinnovare la pessima pratica di spazi pubblici, di grande pregio e utilizzati dai cittadini, affidati a uso esclusivo e privato (di un marchio associato all’alta moda e al lusso); dall’altra l’indecente visione dell’ambiente, che viene considerato solo merce di scambio e non spazio vitale quotidiano delle persone”.

Tutto questo per Firenze non è, purtroppo, una novità. La cena privata su Ponte Vecchio organizzata da Matteo Renzi sindaco nel 2013, quella su Ponte a Santa Trinita voluta da Dario Nardella nel 2014 e poi il diluvio di feste private nei grandi musei e in generale l’uso dello spazio pubblico, ne hanno fatto la capitale italiana della privatizzazione del patrimonio culturale, ceduto alle grandi multinazionali del lusso in una associazione concettuale terribilmente eloquente: “la bellezza – questo il messaggio – è ancora per pochi, come nei secoli passati”.

Ora il salto di qualità sta nel fatto che si passa a privatizzare un parco, cioè uno spazio pubblico sentito forse come ancora più libero e “di tutti”, rispetto a musei e ponti monumentali. E se non stupisce, purtroppo, la pervicace cecità dell’amministrazione fiorentina, lascia più interdetti la strategia di marketing di Gucci, che sembra non aver messo in conto la reazione contrariata dei fiorentini: davvero è così difficile capire che, al tempo di Greta Thunberg, trattare il verde e gli alberi come trofei dei ricchi non è una mossa intelligente?

La posta in gioco è, d’altra parte, assai alta. Già molti anni fa il sociologo e storico americano Christopher Lasch criticava la “decadenza delle istituzioni civiche, dai partiti politici ai parchi pubblici, ai luoghi d’incontro informali”, lamentando che le città americane avevano perso “le attrattive cittadine, la convivialità, la conversazione, la politica… in pratica quasi tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Quando il mercato esercita il diritto di prelazione su qualsiasi spazio pubblico e la socializzazione deve ‘ritirarsi’ nei club privati, la gente corre il rischio di perdere la capacità di divertirsi e di autogovernarsi”.

Questo è il punto, e la rivolta turca di Gezi Park (che partì contro la trasformazione del parco in centro commerciale) lo dimostra: il modo in cui trattiamo lo spazio pubblico, per esempio un parco, ha molto a che fare con la nostra idea e la nostra pratica della democrazia. Che non è, o non dovrebbe, essere in vendita.

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