Le forze curde annunciano il “congelamento” delle loro operazioni di contrasto allo Stato Islamico. Le Syrian Democratic Forces (Sdf) che fino a oggi sono state l’espressione sul terreno della coalizione occidentale a guida statunitense, occupandosi anche della gestione degli oltre 12mila combattenti di Isis catturati e incarcerati, hanno annunciato che metteranno in stand-by la lotta ai terroristi per difendere il Rojava dall’offensiva turca. Ad annunciarlo è stato il comandante Mazloum Kobani: “Avevamo già sottolineato che la guerra all’Isis non sarebbe più stata una priorità, per quanto ci riguarda, in caso di attacco turco. Per questo, tutte le nostre operazioni anti-Isis sono interrotte. Abbiamo chiesto al presidente Trump di mantenere le promesse, per assicurare la stabilità della regione e proteggere le zone dove abbiamo combattuto l’Isis”, ha aggiunto, sottolineando che Trump “ci ha promesso di chiamare Erdogan per fermare gli attacchi”.

La dichiarazione arriva dopo che nella giornata di mercoledì il presidente Recep Tayyp Erdogan aveva risposto alle dichiarazioni di Trump, che si era detto disposto “a distruggere rapidamente l’economia turca”, assicurando: “Non dichiareremo mai un cessate il fuoco”. Erdogan ha aggiunto di non essere preoccupato per le sanzioni americane – firmate dallo stesso Trump – contro la sua offensiva. Le sue affermazioni arrivano mentre il vice presidente americano Mike Pence si appresta a partire per la Turchia insieme al segretario di Stato Mike Pompeo e al Consigliere per la sicurezza nazionale Mike O’Brien, proprio con l’obiettivo di cercare di ottenere un cessate il fuoco. Ma il Sultano fa prima sapere che non li incontrerà (“Incontreranno le loro controparti. Quando verrà Trump, incontrerò lui”), poi il capo della comunicazione della presidenza turca rettifica e fa sapere che il meeting ci sarà. Nel frattempo, però, potrebbe saltare anche il summit con il presidente Usa, in programma il 13 novembre: “La mia prossima visita negli Stati Uniti sarà valutata dopo gli incontri con la delegazione americana in Turchia, perché i discorsi” fatti in questi giorni sono stati “irrispettosi verso la Turchia“.

“Il nostro obiettivo non è rompere le relazioni con la Turchia, che è un membro Nato con cui condividiamo importanti interessi di sicurezza, ma negare ad Ankara la capacità di continuare la sua offensiva in Siria. Erdogan deve fermarla“, ha detto Pompeo in un’intervista alla Fox. Il segretario di Stato americano ha poi chiesto che il presidente turco “onori” l’impegno preso in una telefonata con Donald Trump e rimanga lontano dall’area di Kobane.

Il no all’invito americano non è l’unica posizione di giornata assunta dal presidente turco. “Ci sono alcuni leader che cercano di mediare tra la Turchia e le forze curde nel nord della Siria – ha detto Erdogan – Ma non è mai accaduto nelle storia della Repubblica turca che lo Stato si segga allo stesso tavolo di un’organizzazione terroristica”. Il leader ha poi rilanciato: “Se i terroristi se ne vanno dalla zona di sicurezza” che la Turchia vuole creare ai suoi confini nel nord della Siria “l’operazione Fonte di Pace finirà”. Una sfida vera e propria quella di Erdogan, che per fermare l’offensiva ha chiesto la resa delle milizie curde delle Ypg/Ypj “entro stanotte”. Dall’inizio dell’operazione militare, si tratta della prima dichiarazione di questo tipo di Erdogan, che finora aveva sostenuto di voler “eliminare tutti i terroristi”, riferendosi anche alle forze curde. Il presidente ha poi sottolineato che “nella sua storia la Turchia non ha mai compiuto massacri di civili e non lo fa neppure ora”, respingendo così le accuse al riguardo dei curdi e di alcune ong. Poi ha ripetuto: “La nostra proposta è la seguente: immediatamente, entro stanotte, tutti i terroristi depongano le armi e i loro equipaggiamenti (militari), distruggano le fortificazioni e si ritirino dalla zona di sicurezza che abbiamo fissato nel nord della Siria ai confini con la Turchia”.

Da Mosca, il Cremlino fa sapere che la situazione in Siria è stata al centro di una conversazione telefonica fra il capo del governo di Ankara e il presidente russo Vladimir Putin, avvenuta per “iniziativa della parte turca”. Secondo le agenzie russe, Putin ha invitato Erdogan a Mosca e il presidente turco ha accettato: si recherà nella capitale russa “entro pochi giorni”. Secondo il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, “prima della fine di ottobre”. I due leader hanno discusso della situazione nel nord della Siria sottolineando “la necessità di prevenire i conflitti tra le unità dell’esercito turco e le truppe del governo siriano”, fanno sapere dal Cremlino. Secondo il servizio stampa della presidenza, il leader russo ha voluto attirare l’attenzione sull’aggravarsi della situazione umanitaria nelle regioni lungo il confine tra Siria e Turchia. “Il capo dello Stato ritiene inammissibile consentire a miliziani di organizzazioni terroristiche, tra cui lo Stato islamico, che sono sorvegliati dalle unità armate curde, di sfruttare questa situazione”, hanno continuato. Dall’emittente Ntv, Erdogan fa sapere che dovrebbe terminare a dicembre, o forse già a novembre, la consegna alla Turchia dei componenti del sistema missilistico di difesa S-400 acquistato dalla Russia, la cui consegna è iniziata lo scorso luglio. Per il governo turco il sistema “non rappresenta un problema per la Nato” ed è indispensabile per la “sicurezza nazionale”.

Donald Trump, che oggi ha ricevuto alla Casa Bianca il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dopo aver esordito con “i curdi non sono degli angeli” si è detto convinto che “le sanzioni sono più efficaci della presenza delle truppe Usa per mantenere la stabilità” nell’area. Poi, riferendosi al supporto russo in favore del governo di Bashar al-Assad, ha commentato: “La Siria può ottenere l’aiuto dalla Russia e va bene. C’è molta sabbia con cui giocare lì”.

Intanto, la guerra prosegue: “Violenti scontri” sono in corso in queste ore tra i combattenti curdi appoggiati da forze dell’esercito regolare siriano e i miliziani arabi filo-Ankara nei pressi dell’autostrada strategica M4, che attraversa il nord della Siria da Aleppo alla frontiera irachena, a una trentina di chilometri dalla frontiera turca. Lo riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Bombardamenti dell’aviazione e dell’artiglieria turca sono proseguiti a lungo la scorsa notte su Ras al-Ayn, uno dei centri strategici al confine tra Turchia e Siria su cui Ankara ha lanciato la sua offensiva. I raid hanno preso di mira le milizie curde che resistono nella città, alle cui porte si trovano soldati di Ankara e miliziani arabi del Free Syrian Army cooptati dalla Turchia.

Le truppe fedeli a Bashar al-Assad, secondo quanto riporta la tv al-Mayadeen, sono entrate a Raqqa, l’ex capitale del Califfato, allestendo punti di osservazione nella città e anche a Kobane, dopo il ritiro delle truppe americane dalla città di confine.

Sempre l’Osservatorio segnala almeno due morti e diversi feriti tra le forze di Damasco a causa di un attacco dell’artiglieria delle truppe turche e dei ribelli alleati che nella notte avrebbe centrato un avamposto dei soldati fedeli ad Assad, nel nord-est della Siria. Secondo quanto si legge sul sito web dell’Osservatorio, i militari turchi e i ribelli alleati hanno attaccato un’area a est di Ayn Issa, teatro – nel pomeriggio del 15 ottobre – di scontri tra le forze turche e l’alleanza curdo-araba delle Syrian Democratic Forces (Sdf). Stando agli attivisti, negli scontri sono morti nove combattenti delle Sdf e 21 ribelli sostenuti dalla Turchia. Da Ankara, il ministero della Difesa parla di 637 miliziani curdi “neutralizzati”: termine con cui i militari turchi indicano i miliziani uccisi o catturati. Si tratta, secondo il ministero, di “terroristi Ypg/Pkk”.

Al di là dell’oceano, i leader repubblicani e democratici al Congresso americano e i vertici delle commissioni Esteri e Forze armate di Camera e Senato dovrebbero incontrarsi oggi alla Casa Bianca col presidente Donald Trump per discutere la situazione siriana. Lo riferisce la Reuters sul suo sito, citando fonti di Capitol Hill. All’incontro, nel giorno della visita del presidente della repubblica italiana, Sergio Mattarella, è prevista la partecipazione di Mitch McConnell, leader del Grand Old Party al Senato, e di Nancy Pelosi, speaker democratica della Camera. I colloqui coincidono con la crescente irritazione del Congresso per la decisione da Trump di ritirare le truppe Usa nel nordest della Siria, abbandonando gli alleati curdi all’offensiva turca.

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